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Trovato a Ponte di Piave un pettirosso inanellato in Svezia.
Rinvenuto da una signora a passeggio in Via Grasseghella;
alla zampa aveva un anello con la scritta: Museum Stockolm
con codice DE95089. Ricordiamo che se capita di trovare un
uccello inanellato, occorre inviare subito la segnalazione
all'INFS a Ozzano Emilia BO (o, pi� semplice, avvisare la
Provincia). Si ringrazia l'amico Orlando per la segnalazione
e l'Avv. Alvise Tommaseo per la precisa spiegazione sui
quotidiani locali.
- Avvistata a Zenson di Piave una Cesena Fosca
.
Indice:
Scoperto batterio lungo ben 20 mm
Casette nido al Parco della Storga
Nidi artificiali
Il monte Grappa
Caneva e Polcenigo: i Pal� del Livenza
Risorgive
Nutria
Contenimento del Cervo nella Foresta del Cansiglio
Etica venatoria
Baldon
Avanza la ricerca nei biocarburanti da alghe
Il sughero
Lo sciacallo dorato nella bassa trevigiana?
Luppolo (bruscandoli)
Silene (sciopeti)
Rabbia silvestre
Le pavoncelle sono tornate
Colori e disegni degli uccelli
Organi di senso degli uccelli
Scheletro e ossa degli uccelli
Becco
I giorni della merla
Stramonio: veleno
Galaverna (ziibria o brumestega)
Energia pulita prodotta nel padovano
Lucciole,
magiche lanterne
L'inanellamento
degli uccelli a scopo scientifico
Vischio
Il petrolio italiano
Le guerre sconosciute per il cotone
Sai distinguere un grillo da una cavalletta?
Gambero di fiume
Anodonti: conchiglie di fiume
Addestramento cani
Garzetta schistacea
I
veleni nei nostri giardini
Tartarughe
dalle orecchie rosse
Capriolo o unicorno?
Come distruggere la propria associazione
Parchi ed aree protette.
La
verit� sull'innevamento artificiale delle piste da sci.
Energie rinnovabili e ambiente.
La foca monaca: vittima del turismo e del progresso
Le vipere presenti in Italia.
Vespe, api, calabroni, zanzare, pappatoci, pulci, zecche,
vipere, ecc.
Dolomiti.
Galliformi
alpini: tutela e gestione faunistica.
I rifiuti
possono produrre energia
Dove sono finiti gli alberi dei bambini?
Diossina: inquinante
organico persistente.
Scoperto un
batterio lungo ben 20 mm
Thiomargarita magnifica � un batterio, il pi� grande mai
scoperto, arriva anche a 20 mm. Cresce sottacqua e riesce a
compiere la respirazione anaerobica utilizzando come
accettori di elettroni numerosi composti ossidati dello
zolfo. Vive tra le foglie staccate e marcescenti delle
mangrovie rosse dell'arcipelago della Guadalupa nelle
Piccole Antille. Questo batterio a forma filamentosa � il
pi� grande mai scoperto. Il batterio � stato descritto nel
febbraio 2022. Originariamente scoperto da Olivier Gros
dell'Universit� delle Antille francesi a Pointe-�-Pitre, che
per� non gli aveva prestato attenzione credendolo un fungo.
Gros e altri ricercatori hanno impiegato 5 anni per scoprire
che si trattava in realt� di un batterio, e ci sono voluti
diversi altri anni perch� lo studente Jean-Marie Volland,
che lavorava per Gros, ne scoprisse le propriet� insolite.
Thiomargarita significa "perla di zolfo" e si riferisce
all'aspetto delle cellule, che contengono microscopici
granuli di zolfo che diffondono la luce incidente,
conferendo alla cellula una lucentezza perlacea.
Casette nido al Parco della Storga
Sono state piazzate una trentina di casette
nido (casette chiuse) nel Parco della Storga
e nell'area della sede della Provincia di Treviso. Le casette
nido sono state fornite dall'Amministrazione Provinciale ed
affidate all'Ekoclub di Treviso che, grazie ad alcuni
volontari, ha provveduto a piazzarle tenendo conto della
densit� e del territorialismo delle cinciallegre. Le casette
nido sono collocate in modo da essere difficilmente
raggiungibili dai gatti o dalle ghiandaie, sono state poste col
foro d'accesso a sud e su alberi di vecchio impianto. Non ci
rimane che attendere il lieto evento.
Top
Nidi artificiali
Convincere alcuni uccelli ad
installarsi nel nostro giardino sar� molto utile ad alcune
specie che sempre con maggior difficolt� riescono a trovare
siti idonei per nidificare e vi dar� il piacere di vedere ogni
giorno questi simpatici ospiti, osservare i loro rituali per la
riproduzione ed assistere allo spettacolo della riproduzione,
senza calcolare che, tra l'altro, durante il periodo
riproduttivo, gli insettivori in particolare, ma anche i
granivori, contribuiscono non poco a combattere i parassiti
delle piante.
Collocare delle casette nido � il
modo migliore per ottenere, con buona probabilit�, i risultati
illustrati sopra.
Esistono diversi tipi di cassette
nido: a mensola o a casetta aperta; a casetta chiusa; tegola
speciali.
Le casette aperte sono
adatte per uccelli come il pettirosso, che in natura costruisce
il suo nido di fango ed erba alla biforcazione di un tronco o
su un
grosso ramo.
Le casette chiuse sono
accettate da molte specie. Le dimensioni variano notevolmente
(vedi tabella sotto), ma la struttura base rimane la medesima.
Alcune specie, come cince e picchi muratori, indugiano un poco
prima di entrare nel nido, e talvolta preferiscono cassette
dotate di posatoio. Altre specie, ad esempio i picchi, volano
direttamente all'interno.
Le tegole speciali vanno
collocate sui tetti per favorire la nidificazione dei rondoni:
anche le riproduzioni delle coppe di fango dei balestrucci,
opportunamente sistemate sotto i cornicioni, possono servire
allo scopo.
Per individuare la corretta
posizione di una cassetta nido occorre procedere per
approssimazioni successive. Dovrebbe essere posta almeno a 2
metri dal suolo, in una posizione tranquilla e riparata, dove
arrivi un poco di sole, in modo che l'interno rimanga asciutto,
ma non troppo, per non surriscaldare la cassetta.
Le cassette aperte devono essere
sistemate sul tronco di un albero; saranno pi� gradite dagli
uccelli se ulteriormente nascoste da fronde ricadenti.
Per tenere alla larga passeri e
storni, sistemate le cassette nido lontano dagli edifici, il
loro habitat d'elezione.
Fissate le cassette solo quando
vi accorgete che la vostra specie preferita sta cercando un
posto per nidificare. Se il vostro nido non viene occupato
immediatamente non scoraggiatevi: esaminate attentamente le
esigenze della specie, quindi decidete la posizione pi� adatta.
Una volta che gli uccelli vi si
sono stabiliti, non provate ad avvicinarvi: potreste farli
fuggire oppure segnalare inavvertitamente la loro presenza ai
predatori (gatti compresi).
Non spostate la cassetta fino
al termine della stagione riproduttiva, perch� molte coppie
allevano due o tre nidiate consecutive, oppure Potrebbero
giungere nuovi ospiti. Quando la fase riproduttiva � terminata,
ripulite la cassetta e preparatela per la primavera successiva,
tenete in considerazione che alcuni uccelli utilizzano la
casetta in inverno per ripararsi dal freddo.
La presenza di un singolo uccello
o di una coppia nelle vicinanze del nido pu� essere un
promettente segnale di interesse. Dopo qualche ora o giorno di
ispezione della zona e del nido, uno o entrambi i futuri
genitori iniziano a imbottire la cassetta con ramoscelli e fili
d'erba o muschio. Dopo qualche giorno riuscirete solo a vedere
il maschio che porta I'imbeccata alla femmina in cova. Quando
finalmente le uova si sono schiuse, la femmina far� di nuovo la
sua apparizione e insieme al compagno si dar� da fare per
procurare il cibo ai piccoli, aumentando la frequenza delle
imbeccate a mano a mano che questi crescono.
Spesso, dopo essere entrato nel
nido con il cibo, l'adulto ne esce con una pallina bianca nel
becco: � il sacchetto fecale contenente gli escrementi dei
piccoli. In questa fase i piccoli
sono molto rumorosi, basta battere sul tronco dell'albero dov'�
collocata la casetta per sentirli pigolare.
La fase dell'involo � la pi�
pericolosa, i pulcini sono facile preda di ghiandaie e
gatti, la vostra presenza in giardino pu� scoraggiare i
predatori. Dopo l'involo alcuni gruppi familiari rimarranno nel
giardino: potrete quindi osservare i genitori prendersi cura
dei giovani gi� grandicelli.
La presenza di una mangiatoia nei
mesi pi� freddi pu� convincere gli uccelli a fermarsi nel
vostro giardino, in primavera, per la riproduzione.
Tabella dimensioni casette
chiuse
Uccello |
fondo casetta |
altezza del foro |
diametro foro |
Passero |
15x15 |
20 cm |
50 mm |
Taccola |
20x20 |
40 cm |
150 mm |
Civetta |
20x20 |
30 cm |
70 mm |
Picchio muratore |
20x20 |
18 cm |
50 mm |
Storno |
15x15 |
30 cm |
50 mm |
Cinciallegra |
15x12 |
18 cm |
40 mm |
Codirosso |
15x12 |
20 cm |
40 mm |
Picchi |
15x15 |
35 cm |
60 mm |
Top
Il monte Grappa
Il monte Grappa � stato
riconosciuto dall'UNESCO "Riserva della Biosfera MAB". Nel
veneto � il secondo sito, assieme al Delta del Po, ad essere
inscritto alla Rete Mondiale MAB (Man and the Biosphere) che
� un programma scientifico e intergovernativo promosso
dall'UNESCO. Dal 1971 questo programma vuole sollecitare il
rapporto equilibrato tra genere umano ed ambiente con il
fine dello sviluppo di buone pratiche, sollecitando la
sostenibilit� e la tutela della biodiversit�.
Top
Caneva e Polcenigo: i Pal� del Livenza
Nel
corso di recenti campagne di scavo nella zona compresa tra
Caneva e Polcenigo, area interessata dalla zona umida “I
Pal� del Livenza”, sono venuti alla luce interessanti
reperti e i resti di insediamenti abitativi risalenti ad
oltre 4000 anni or sono.
Quest’ara � Patrimonio Mondiale dell’UNESCO sin dal
2011. Le ultime campagne di studi e scavi hanno dato
risultati sorprendenti ed insperati, portando alla scoperta
dei resti di fondazioni di capanne del Neolitico. Quest’area
� stata identificata come zona palafitticola tra le pi�
antiche d’Italia. Tra gli oggetti ritrovati vi sono
granaglie, strumenti di uso quotidiano, resti ossei, ed
altro, il tutto risalente al periodo precedente alla
conoscenza dei metalli. Il materiale rinvenuto � ora oggetto
di studi approfonditi presso i laboratori specializzati e ci
si auspica che venga poi esposti in un centro visite da
realizzare in loco. Questi luoghi acquisterebbero quindi
maggior interesse da parte dei visitatori che gi� sono
attratti balla bellezza della zona umida, attraversata da
ciclabili e percorsi pedonali, senza contare la possibilit�
di sostare durante le passeggiate in locali della zona dove
potersi ristorare con cucina casalinga e ottimi vini locali.
Top
Risorgive
Le risorgive (nasente)
sono sorgenti d’acqua dolce d’origine naturale, i fontanili
(fontanasi) sono sorgenti d’acqua dolce di origine antropica
(scavate dall’uomo). La sovrapposizione dei due termini deriva
dal fatto che spesso i fontanili venivano scavati in aree gi�
interessate da risorgive.
La nascita di fontanili e
risorgive � dovuta alle acque piovane e fluviali, che trovando
materiali molto permeabili, penetrano in profondit� nel
sottosuolo, dove formano una falda freatica e possono tornare
in superficie in corrispondenza di materiali impermeabili.
L'acqua che fuoriesce da fontanili e risorgive presenta una
temperatura costante compresa fra i 9 - 10 �C in inverno e
i 12 - 14 �C in estate.
L'acqua riemerge in quella che
viene definita "testa del fontanile" e poi si distribuisce
nella cosiddetta "asta", dove pu� essere utilizzata per usi
civili o agricoli, in particolare le marcite, grazie alla
temperatura costante che ne consente l'utilizzo durante tutto
l'anno.
Nella nostra pianura i materiali
permeabili sono dati dalle ghiaie delle mega-conoidi
alluvionali dell'alta pianura, mentre gli impermeabili sono
dati dai depositi di esondazione formati da limo ed argilla
della bassa pianura.
Ad esempio a Montorio Veronese,
dove l'acqua piovana della Lessinia filtrata attraverso le
rocce permeabili che la caratterizzano riaffiora, a contatto
con strati impermeabili di tipo argilloso, sono presenti ben
sette risorgive, che generano due laghetti e diversi fossi,
dando al paese le caratteristiche di una piccola Venezia.
Nella pianura friulana, il
fenomeno delle risorgive si manifesta in una fascia continua di
territorio che va da Polcenigo a Monfalcone con un'inclinazione
nord-ovest sud-est, chiamata linea delle risorgive.
La storiografia romana non cita
mai l'utilizzo di fontanili o risorgive a scopi agricoli; il
primo documento disponibile che riporta con certezza il termine
fontanile risale al 1386, ed � costituito da un atto notarile
proveniente dalla zona di Segrate.
Si presume dunque generalmente
che i fontanili abbiano avuto origine solo nei primi secoli del
secondo millennio, nell'ambito dei pi� ampi lavori di bonifica
idraulica della pianura padana. In questi secoli furono
effettuati i primi scavi per incanalare ed irregimentare le
acque di profondit�.
Nelle aree pi� antropizzate i
fontanili vanno rapidamente scomparendo: nel 1975 i fontanili
attivi nella provincia di Milano erano almeno 430, con una
portata media giornaliera complessiva di circa 28 m3/s, mentre
nel 1995 ne erano rimasti solo 186 attivi.
Le acque delle risorgive
alimentano alcuni corsi d’acqua che possono dare origine a dei
fiumi. In Italia (ed in Eropa), il pi� importante fiume di
risorgiva � il Sile (95 km), che attraversa le province
di Treviso e Venezia prima di sfociare in Adriatico e il cui
bacino idrografico si incunea fra quelli del Brenta e del
Piave. Altri fiumi importanti sono il Tartaro (Verona e
Rovigo), il Tormo che attraversa le provincie di Bergamo,
Cremona e Lodi prima di sfociare nell’Adda e il Chidro in
provincia di Taranto.
L'area delle risorgive
solitamente comprende al suo interno, oltre a fontanili o
risorgive, elementi naturali tipici quali, laghetti e aree
paludose, torbiere e una fitta rete di corsi d'acqua che hanno
una notevole importanza naturalistica anche per la ricca
entomofauna, l'erpetofauna e per la pregiata fauna ittica.
Il fenomeno delle risorgive si pu�
osservare all'interno del Parco della
Storga a Treviso (con accesso da via Cal di Breda). La
visita � facilitata dai percorsi attrezzati, appositamente
realizzati con materiali ecologici.
Top
Etica venatoria
L'esercizio venatorio non pu�
essere lasciato al beneplacito del singolo cacciatore. Chi
esercita la caccia deve a tenere un comportamento che
domini la passione, con ragionevolezza e conoscenza di causa.
Etica venatoria verso se
stessi significa acquisizione da parte del cacciatore di
una mentalit� frutto della riflessione e dell'onest�,
accettazione del dominio della ragione e necessit� di fare
delle rinunce. Curare la propria formazione e abituarsi a
riflettere anzich� agire d'istinto. Utilizzare l'arma in
sicurezza, che non � spavalderia, senza il timore che induce
alla paura.
Etica venatoria verso la
selvaggina significa che il cacciatore deve collaborare per
assicurare alla selvaggina la dovuta protezione, astenendosi
dalle azioni contrarie alla legge che possono nuocere alle
popolazioni degli animali cacciabili e alle specie protette.
Gli spari ai selvatici vanno effettuati esclusivamente con lo
scopo di colpirli mortalmente, evitando quindi tiri maldestri
che possono ferire un selvatico e farlo soffrire inutilmente.
Non si tira al fagiano in ramo o alla lepre al covo. Il
cacciatore deve saper rinunciare al tiro anche ad un animale
cacciabile se ritiene che il capo in questione riveste un
valore o � di utilit� per gli altri animali del branco o della
colonia.
Etica venatoria verso gli
altri cacciatori significa che le regole di prudenza e di
cortesia vanno osservate in modo da non provocare la reazione
degli altri cacciatori. Sul terreno di caccia vanno rispettate
le precedenze, le postazioni gi� occupare e non va intralciato
l'esercizio venatorio altrui. L'azione di caccia non termina
finch� il cacciatore non cessa di inseguire il selvatico. Non
esistono privilegi e tutti hanno gli stessi diritti e gli
stessi doveri.
Etica venatoria verso terzi.
I territori in cui si esercita l'attivit� venatoria sono
frequentati anche da altre persone: sportivi, agricoltori,
attivit� di controllo, ecc. La maggior parte di queste persone
cerca tranquillit� e distensione e sono contrarie alla
caccia. La presenza del cacciatore pu� destare moti di
simpatia, avversione o indifferenza. E' il comportamento del
cacciatore a provocare reazioni che possono dare origine a
giudizi negativi per la caccia. Il cacciatore porta un'arma che
va maneggiata con prudenza. Egli deve dimostrare nei fatti di
preoccuparsi dell'incolumit� delle persone. Non sono tollerati
atteggiamenti spavaldi. Il cacciatore prima di sparare il colpo
di fucile deve essere sicuro che il terreno � libero. Non va
mai dimenticato che ogni giudizio negativo sul cacciatore si
riversa, immancabilmente, sulla caccia in senso generale.
Etica venatoria verso le
cose di terzi significa che le coltivazioni vanno
rispettate, evitando vandalismi gratuiti e inutili che sono
anche dannosi alla causa venatoria. Un atteggiamento rispettoso
nei confronti dei beni altrui trova le sue radici in un
comportamento corretto del cittadino, frutto di riflessione e
di un'educazione civile.
Alcuni consigli di prudenza.
1) Conoscere il calendario
venatorio.
2) Rispettare il calendario
venatorio.
3) Tenere sempre il fucile aperto
e scarico salvo che in azione di caccia.
4) Accertarsi che le canne siano
libere da corpi estranei prima di caricare l'arma.
5) Avere l'assoluta certezza del
bersaglio prima di sparare.
6) Per chiudere il fucile dopo
averlo caricato si fa ruotare il calcio e non le canne.
7) E' buona regola non utilizzare
la sicura ma aprire l'arma: � pi� sicuro.
8) Con un'arma carica non si
scavalca mai un ostacolo, non si passa mai attraverso due fili
di ferro e non si salta mai un fosso. In questi caso l'arma va
aperta e scaricata: � pi� sicuro.
9) L'arma va sempre maneggiata
come se fosse carica anche se si � sicurissimi che non lo �.
10) Quando un fucile non viene
usato deve essere riposto con cura, meglio se smontato. Se ci
sono bambini in casa, armi e munizioni vanno posti in luoghi
separati.
!! L'arma non va MAI poggiata sul tetto dell'automobile. MAI.
State pur certi che se la poggiate un attimo, ad esempio per
cercare e chiavi, poi partirete col fucile sul tetto della
macchina con la certezza di farlo cadere alla prima curva.
Stessa cosa se lo poggiate un attimo ad un muretto, ad
esempio per caricare i cani, � capitato che � rimasto li, a
disposizione dei carabinieri e ... addio licenza.
Top
Nutria
La nutria (Myocastor
coypus), detta anche castorino o topo d'acqua, � un roditore di
notevoli dimensioni, originario del Sud-America, da dove �
stato esportato
in
diversi paesi a scopo d'allevamento per ottenerne pelli
pregiate. Il suo corpo � coperto da una pelliccia folta, di
colore marrone sul dorso, rossastra sui fianchi e scura sul
ventre, molto soffice, formata da una lanetta morbida da cui
escono per� numerosi peli lunghi e setolosi. La testa �
tarchiata con punta del naso e labbra bianchi, denti
giallo/arancio ed orecchie piccole.
Questo animale vive negli ambienti acquatici e palustri in
genere, preferisce acque calme e non troppo fredde, per questo
i suoi arti posteriori, che sono corti e robusti, hanno dita
unite da una membrana. La lunga coda � cilindrica, rivestita da
squame e da radi peli setolosi.
Il nutria, o come si usa dire oggi, la nutria, � un ottimo
nuotatore che vive sule sponde di laghi, fiumi o paludi, scava
tane sotterranee sulle rive, generalmente con l'entrata posta
sotto il livello dell'acqua (nella pianura Padana pone le
entrate a circa 50 cm sopra il pelo dell'acqua
e con un vistoso scivolo verso l'acqua). Si nutre
prevalentemente di vegetali (rode le gambe delle canne di mais
per far cadere la pannocchia), ma quando � possibile anche di
pesci o altri animali. Nella vita in cattivit� � praticamente
onnivoro.
La nutria � un mammifero molto prolifico: la femmina mette al
mondo da cinque a dieci piccoli per parto straordinariamente
sviluppati, gi� coperti di pelo e in grado di vedere. Dopo
pochi giorni dalla nascita i cuccioli possono seguire la madre
all'aperto ed essa li porta in giro attaccati alle mammelle
che, fatto molto curioso, sono poste sui fianchi in alto, quasi
sul dorso. Ci� permette ai piccoli di tenere il naso fuori del
pelo dell'acqua quando succhiano il latte della madre. La
nutria � un lontano parente del castoro al quale assomiglia.
Contenimento del Cervo nella
Foresta Regionale del Cansiglio
Il problema della gestione
della fauna selvatica sia nelle aree protette sia fuori da
esse si presenta oggi frequentemente ed � sentito dagli amanti
della natura, dai fruitori delle aree protette e dalla
cittadinanza che vive e convive giornalmente con gli animali
selvatici e i danni che essi producono.
Gli animali che maggiormente
causano danni all'ambiente con un impatto sugli ecosistemi e
sulla fitocenosi sono gli ungulati: cervi, daini e cinghiali,
sono i maggiori responsabili. Il problema si manifesta
maggiormente in aree di dimensioni ridotte (meno di 1000 ha),
dove vivono popolazioni di grossa taglia come i cervi o che
hanno uno sviluppo demografico rapido (cinghiali) e senza il
decremento dovuto alla predazione naturale, pressoch�
inesistente. In questa situazione � impossibile ipotizzare una
sorta di "autoregolazione" da parte della natura e diventa
indispensabile un intervento professionale, ragionato e
pianificato da parte di tecnici abilitati. Esempi di questo
generi, in Italia, possono essere: le Tenute Presidenziali di
San Rossore (PI) o Castelporziano (Roma), per i cervi il Bosco
della Mesola (FE) o il Parco Regionale della Mandria (TO) e il
Gran Bosco di Salbertrand (TO) ma anche il Parco nazionale
dello Stelvio (TN) e il Parco Nazionale del Monti Sibillini (MC).
Nella Piana del Cansiglio
ci si trova in presenza di aree destinate al pascolo del
bestiame che sono interessate perimetralmente dalla foresta,
ci� crea le condizioni ottimali per la proliferazione del Cervo
con i conseguenti danni causati alle attivit� agricole
(documentati). L'impossibilit� di mantenere o ricondurre l'area
a condizioni di elevata naturalit� e totalmente priva di
interferenze antropiche determina un inevitabile scelta:
intervenire per la conservazione dell'ambiente con la
rimozione, previa cattura o abbattimento, della fauna in
eccesso, come gi� avviene nei grandi parchi del Nord America e
nei parchi africani.
La cattura � il metodo
naturalisticamente pi� appropriato da utilizzare nell'area
protetta/foresta demaniale/aree Sic/Zps quale � il Cansiglio,
resa possibile e disciplinata dalla L. 157/92, art. 19, dove si
parla di "metodi ecologici".
Il Comune di Fregona (TV) e l'Ekoclub
di Treviso, hanno chiesto al dr. Renato Semenzato di
Refrontolo (TV), di predisporre una proposta di operativit� per
la cattura di un centinaio di cervi sulla piana del Cansiglio.
Gli animali saranno poi inviati ad altre arre protette che ne
facciano richiesta per la successiva liberazione.
Il progetto � ambizioso,
ma la professionalit� del tecnico progettista e la forte
motivazione da parte del volontari che porteranno a termine il
progetto nonch�, l'appoggio della cittadinanza di Fregona e
della Provincia di Treviso, concorreranno certamente alla
realizzazione del piano di controllo del cervo nella Piana del
Cansiglio.
Top
Avanza la ricerca sui biocarburanti da
alghe.
In luglio la Exxon Mobil
Corporation e la Synthetic Genomics inc. (SGI) hanno annunciato
l’apertura di una nuova struttura per passare ad un livello pi�
avanzato nella ricerca e nella sperimentazione del programma
sui biocarburanti da alghe. Nella nuova struttura inaugurata a
in California, si passer� da un ambiente di laboratorio ad uno
dove meglio saranno rispecchiate le condizioni reali per la
produzione di alghe. I ricercatori di Exxon Mobil utilizzeranno
la struttura per verificare se grandi quantit� di carburanti
possano essere prodotti da alghe in modo competitivo sotto il
profilo economico. Saranno effettuate varie prove di
coltivazione delle alghe sia in vasche aperte sia in locali con
foto-bioreattori chiusi. Valuteranno varie tipologie di alghe
sia naturali sia prodotte in laboratorio, in diversi sistemi di
crescita e in un ampia gamma di parametri ambientali quali:
diversi livelli di illuminazione, temperatura e concentrazione
di nutritivi. Si studieranno diversi sistemi nel processo della
produzione di bio carburante, compresi la raccolta ed il
recupero del bio-olio. La fase successiva del progetto prevede
l’apertura di un impianto sperimentale di grandi dimensioni nel
2011 e l’investimento di 600 milioni di dollari nel programma
sui bio carburanti da parte della Exxon Mobil. La prestigiosa
istituzione di ricerca � diretta da J. Craig Venter, uno dei
pi� prestigiosi biologi del mondo, pioniere negli studi sul
genoma.
Top
El Baldon
Il "Baldon" � una pietanza povera
che ha antiche origini contadine. Questo alimento permetteva
d'integrare, apportando proteine, la povera dieta delle
popolazioni che abitavano nelle campagne venete decenni or
sono.
In queste popolazioni la dieta
era costituita principalmente dalla polenta che, da sola, non
dava i nutritivi necessari all'organismo. Il momento culminante
della produttivit� nella campagna era contrassegnato
dall'uccisione del maiale, ma i metodi per la conservazione
delle carni erano limitati.
Come � noto, del maiale non
veniva scartato nulla ed in particolare il sangue, molto
nutriente, era utilizzato per preparare dolci o cotto con le
cipolle. Con l'andare del tempo, alcuni contadini provarono
vari metodi per conservare il sangue del maiale: uno dei metodi
era quello di insaccarlo con alcune salsicce che prendevano il
nome di "fegadei", un altro modo era la produzione del "baldon".
La necessit� della conservazione
diede quindi origine al "baldon": sangue di maiale impastato
con farina, latte, poca uvetta, e poco zucchero, il tutto cotto
ed insaccato. Preparato in questo modo e lasciato stagionare
nel modo corretto, poteva durare alcuni mesi.
Nelle campagne venete il paese di
Breda di Piave divenne famoso per il buonissimo "baldon" che si
produceva, al punto che dalla citt� di Treviso, alcuni
"cittadini" si recavano a Breda apposta per acquistare il "baldon".
La semplice cultura contadina
fin� per associare questa caratteristica particolare produzione
ai paesani di Breda che erano additati con l'appellativo di
"quei del baldon" o "baldoni", nel senso di indicare una
persona povera o come modo di dire per indicare "povera e poca
cosa".
Oggigiorno � impensabile
procedere alla preparazione di questa ricetta poich� il sangue
di maiale non pu� essere commercializzato.
Rimane, per fortuna, la
tradizione del "baldon" a Breda di Piave dove, una volta
all'anno, verso la fine di gennaio, viene riproposto nella
tradizionale "Sagra della Conversione di San Paolo e Festa del
Baldon" (info: Pro Loco di Breda di Piave 0422600706).
Top
Il sughero
La Quercia Sughera (Quercus Suber),
si trova in Europa meridionale e Africa boreale, l� dove il
clima e I'altitudine permettono il rigoglio dei boschi. Pu�
raggiungere un’altezza imponente, ha il tronco robusto e la
chioma densa, sempre verde. Queste caratteristiche le
conferiscono un aspetto maestoso ed hanno fatto di quest’albero
un simbolo di forza e di perennit� fin dai tempi pi� antichi.
Gi� menzionata nella Bibbia, a detta dello scrittore greco
Teofrasto era conosciuta sin da quattro secoli avanti Cristo
dalle popolazioni gravitanti sul Mediterraneo. La quercia
sughera fu dai Greci dedicata a Giove, e godette il raro
privilegio di non poter essere abbattuta senza il consenso dei
sacerdoti. Famose in Grecia erano le querce sughere del bosco
di Dodona in Epiro, dove una gentile leggenda voleva che fra
corteccia e corteccia vivessero le Amadriadi (ninfe dei boschi)
per ascoltare e trasmettere agli uomini gli oracoli che
pronunciavano gli alberi.
Le popolazioni italiche
preesistenti ai Latini ugualmente la venerarono, e di ci�
rimane a testimonianza la descrizione fatta da Plinio di una
quercia millenaria sorgente sul colle Vaticano: a detta
dell'autore latino, il tronco dell’albero era, infatti,
copiosamente inciso con iscrizioni votive attestanti un vero e
proprio culto tributato alla Quercia.
Ugualmente antica � la conoscenza
delle propriet� del sughero che gi� 3000 anni a. C. veniva
usato dai Cinesi per arnesi da pesca e salvagente, per uguale
scopo esso fu adottato anche dagli Armeni e le prove di un suo
impiego presso le popolazioni nuragiche della Sardegna �
risultato da alcune scoperte archeologiche. Nella costruzione
di mobili e di oggetti ornamentali in sughero gli Arabi furono
maestri, e per scopi decorativi esso fu pure adottato in Italia
e in altri paesi d'Europa sin dal Rinascimento. I Romani
infine, come lo attestano le dichiarazioni di Plinio e alcune
anfore tappate con turaccioli di sughero rinvenute a Pompei, se
ne giovarono largamente per la fabbricazione dei tappi.
La pianta da sughero
appartiene al genere “Quercus”. L'altezza e la robustezza del
tronco variano a seconda dell'et� e della specie (Suber
Hispanicum, Quercus bivoniana e la Quercus occidentalis), in
media raggiunge i 10/15 metri d'altezza, toccando talvolta
anche i 22 metri, mentre il tronco, che mediamente ha una
circonferenza di m. 2,50, pu� raggiungere anche i 4 metri. Le
sue foglie, coriacee, pi� o meno ovali, dentate o intere a
seconda della specie, sono di color verde scuro nella faccia
superiore e bianco nell'inferiore: si dispongono sul ramo
obliquamente, in tal modo lasciano filtrare discretamente la
luce permettendo la vegetazione del sottobosco, preziosissimo
alla vita della quercia stessa poich� trattiene I'umidit�. La
quercia fiorisce in aprile/maggio e il suo frutto, cupoliforme
e fornito di ghianda come quello del rovere, presenta la
caratteristica di riprodursi solo una volta ogni due anni. La
quercia da sughero bench� possa vegetare anche in terreni
asciutti e rocciosi, ama il clima temperato, i terreni umidi e
profondi ed un'altitudine inferiore ai 1000 metri; il clima
ideale per la sua crescita e perch� essa possa produrre buon
sughero, � quello che generalmente si riscontra in tutto il
bacino mediterraneo e soprattutto nel Portogallo, dove le
alterne influenze del Mediterraneo e dell'Atlantico assicurano
costantemente le condizioni climatiche di cui l'albero ha
bisogno. Nel bacino mediterraneo cresce infatti la specie
migliore, la “Suber Hispanicum”, che mal sopporta il trapianto
in altre localit� e la cui coltivazione costituisce una fonte
considerevole di ricchezza per il Portogallo e la Spagna, e in
percentuale minore, per la Francia, I'Algeria, I'Italia, la
Grecia e la Turchia. Il versante tirrenico, ma soprattutto la
Sardegna e la Sicilia, sono le zone italiane pi� largamente
interessate alla coltivazione delle sugherete.
Il tronco della quercia �
fornito di una doppia corteccia: quella interna, chiamata
“madre o libro”, � formata da tessuti fibrosi e finissimi nei
quali scorre copiosamente la linfa; per proteggere questo
prezioso liquido la pianta utilizza un manto (il fellogeno),
che ha la propriet� di generare un tessuto cellulare, morbido e
spugnoso, ottimo isolante del caldo e del freddo e
perfettamente impermeabile. Questo tessuto � il sughero. Di
anno in anno gli strati di sughero si accumulano, raggiungendo
dopo 14 anni il massimo spessore (dai 20 ai 70 mm). In
determinate stagioni, il sughero pu� essere estirpato senza
danno purch� durante l’operazione di decorticamento si ponga
ogni cura affinch� il fellogeno non venga offeso.
Molto pazienti debbono essere i
coltivatori di sugherete: la quercia sughera �, infatti. in
grado di subire la prima decortica solo tra il l0� e il 20�
anno di et�, quando il tronco, irrobustitosi, ha ormai
raggiunto la circonferenza di 30-40 cm.; il prodotto di questo
primo raccolto, che viene chiamato “sugherone, sughero primario
o maschio” (la prima decortica si chiama “demaschiatura”),
essendo assai ruvido e nodoso, non pu� essere usato per la
fabbricazione dei turaccioli, ma viene impiegato per la
preparazione degli agglomerati. Dalle decortiche “scorzature”
successive, che avvengono a distanza di 7-14 anni l'una
dall'altra, si ricava il sughero migliore, chiamato “sughero
secondario o femmina”, che la quercia continuer� a produrre con
uniforme intensit� sino a che non abbia raggiunto i 60/70 anni;
oltre questo termine, l'albero, giunto alla sua maturit�,
diminuisce gradatamente la produzione di corteccia sino a che,
giunto all'et� di 200 anni, non la cesser� del tutto.
La corteccia grezza, ancor
prima di essere avviata ai centri di raccolta, viene lasciata
generalmente per qualche tempo in foresta, affinch� al contatto
dell'aria e del sole si prosciughi parzialmente e si purifichi
sommariamente delle sostanze organiche che potrebbero essere
imprigionate nelle sue cellule; esse, infatti, oltre che
deteriorare il sughero, putrefacendosi, potrebbero generare
odori ed acidi molto sgradevoli e nocivi.
Nei centri di raccolta, il
sughero grezzo subisce varie operazioni prima di poter essere
finalmente considerato mercantile; dapprima le plance vengono
bollite in apposite caldaie di rame affinch� il sughero si
liberi del tannino e aumenti di volume e di flessibilit�; poi,
dopo essere state lasciate nuovamente all'aria aperta, passano
sotto le mani dei raspatori che ne raschiano le parti
lignificate; infine, vengono tagliate in strisce, selezionate
secondo le dimensioni della striscia, la qualit� e lo spessore
del sughero.
Circa il 90 per cento del sughero
secondario viene usato per la fabbricazione dei turaccioli:
questo materiale, dal XVII sec. � diventato infatti il
preferito per la chiusura dei recipienti (� isolante del caldo
e del freddo, inerte e pressoch� inodore, elastico ed
impermeabile). Il diametro del turacciolo � preso comunemente
nello spessore della striscia di sughero (da 3 a 4 cm).
Il sughero primario e quello di
scarto servono per la produzione degli agglomerati: una
categoria importantissima in questo ramo dell'industria per le
sue molteplici applicazioni. L'agglomerato asfaltato
(sughero macinato composto con pece, bitume ed altre sostanze),
l'agglomerato bianco (un composto di granulato di
sughero e collanti) che trova impiego nell'edilizia. Il tipo
pi� fine di agglomerato � la suberina (granulato
finissimo composto con collanti), � impiegato nell'industria
meccanica, nonch� in prodotti svariati legati all'arredamento e
all'abbigliamento e per preparare, mediante carbonizzazione, il
“nero di sughero o di Spagna”.
Oltre alla carta di sughero si
ricordi infine il linoleum (polvere di sughero mescolata
a caldo con resine ed olio di lino, pressata sopra tessuti di
juta interamente verniciati) che � utilizzato in edilizia e
nell'arredamento.
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Lo sciacallo dorato nella
bassa trevigiana?
Lo
sciacallo dorato �
presente in alcune zone dell'Asia e del sud ed est Europa. In
Europa l'areale dello sciacallo dorato appare in espansione,
individui provenienti dalla ex Jugoslavia sono stati segnalati
nelle regioni orientali italiane (Carnia) ed in Slovenia, zone
in cui pochi anni fa la specie risultava assente.
La comparsa dello sciacallo in
Friuli Venezia Giulia � attribuibile con certezza ai met� anni
Ottanta, quando alcuni animali, scambiati per volpi, furono
abbattuti in vicinanza di Udine e di San Vito di Cadore (Bl).
Il suo areale pi� sud occidentale � stato raggiunto nel 1992 a
Preganziol (TV), dove un animale � stato investito. Dopo la
rapida espansione, durata fino all’inizio degli anni Novanta,
la presenza era sembrata ridursi fino agli inizi del 2000,
probabilmente a causa del bracconaggio, per poi nuovamente
apparentemente riprendersi a met� degli anni Duemila. Nel 2009,
un subadulto di 2 anni � stato ritrovato investito presso
l’abitato di Sistiana (Ts) e un individuo � stato ritrovato
vivo presso l’abitato di San Don� di Piave (Ve), a testimoniare
che questa specie si pu� adattare anche agli ambienti
antropizzati.
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Il luppolo (bruscandoli)
Il luppolo � una pianta perenne,
con rizoma ramificato dal quale si estendono esili fusti
rampicanti che possono raggiungere i 7 metri d'altezza.
Le foglie sono cuoriformi, picciolate, opposte, munite di 3-5
lobi seghettati. La parte superiore si presenta ruvida al
tatto, la parte inferiore � invece resinosa.
Essendo una specie dioica, i fiori, unisessuali e di colore
verdognolo, sono presenti su individui separati. I fiori
maschili (o staminiferi) sono riuniti in pannocchie pendule e
ciascuno presenta 5 petali fusi alla base e 5 stami; i fiori
femminili (o pistilliferi) presentano un cono membranoso che
circonda u ovario munito di 2 lunghi stimmi pelosi. Si trovano
raggruppati alle ascelle di brattee fogliacee, costituendo
un’infiorescenza dalla caratteristica ed inconfondibile forma a
cono.
La fioritura avviene in estate. L’impollinazione � anemofila
(trasporto per mezzo del vento) e in settembre-ottobre, con la
maturazione dei semi, le brattee assumono una consistenza
cartacea che aumenta la dimensione del cono. I frutti sono
degli acheni di colore grigio-cenere.
Le infiorescenze femminili sono ricche di ghiandole resinose
secernenti una sostanza giallastra e dal sapore amaro
utilizzata per aromatizzare e conferire alla birra il suo gusto
caratteristico.
Il luppolo predilige ambienti freschi e terreni fertili e ben
lavorati. Cresce spontaneamente sulle rive dei corsi d'acqua,
lungo le siepi, ai margini dei boschi, dalla pianura e fino a
1200 metri se il clima non � troppo ventoso ed umido. La sua
presenza � molto comune nell'Italia settentrionale. La
coltivazione del luppolo in Italia fu introdotta, a partire dal
1847, dall'agronomo Gaetano Pasqui di Forl�, che promosse anche
una fabbrica di birra in attivit� gi� dagli anni '60
dell'Ottocento.
Prima del luppolo venivano utilizzate altre piante e spezie per
bilanciare il dolce del malto. L'uso del luppolo funge anche da
conservante naturale della birra in quanto possiede propriet�
antibatteriche, per questo motivo certi tipi di birra venivano
abbondantemente luppolati per migliorarne la conservazione.
L'uso del luppolo infine aiuta a coagulare le proteine in
sospensione nella birra rendendola pi� limpida
(chiarificazione), inoltre aiuta nella tenuta della schiuma
In cucina i getti apicali della pianta di luppolo selvatico,
vengono raccolti in primavera (marzo-maggio) e utilizzati come
il pi� comune asparago (a volte erroneamente chiamati "asparago
selvatico"). Da notare come, a differenza della maggior parte
dei germogli utilizzati per uso culinario, i getti di luppolo
selvatico siano pi� gustosi quanto pi� sono grossi. Si possono
anche raccogliere gli ultimi 20 cm di pianta e far lessare per
5-10 minuti, condire con olio, sale e limone; oppure farli
saltare qualche minuto con cipolla e servirli con riso
integrale. Gustosi anche in risotti, frittate e minestre.
Nomi dialettali: aspargina in Lombardia, luartis o loertis a
Mantova, Cremona, Brescia, luvert�n in Piemonte, lavert�n in
Monferrato, luperi in Umbria, bruscandolo o vidisone in Veneto
e Trieste, vart�s in Emilia, Urtizon in Friuli, bert��i nella
Val di vara, viticedda nel Cilento, tavarini nella valle
Caudina.
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Silene (sciopeti)
La silene � una piantina
appartenente alla famiglia delle cariofillacee, viene
volgarmente chiamata verz�l� o scioperi o bubbolino, �
facilmente riconoscibile per i fiorellini dal calice rigonfio.
Esistono moltissime specie di Silene, alcune delle quali molto
diffuse, come la Silene inflata e la Silene alba.
Erba perenne con fusto eretto
o leggermente decumbente,
ramificato, alto fino a mezzo metro. Le foglie sono lanceolate
o ovali, quasi prive di picciolo, di color verde cinerine,
opposte. I fiori sono apicali, bianchi, con calice molto largo.
Il frutto � una cassula ovoide. E' una piantina
molto
frequente, predilige i prati grassi e i pascoli della montagna,
le arene, i dirupi, gli incolti. Fiorisce da aprile a tutta
l'estate. Si raccolgono le cimette tenere e le foglie poco
coriacee.
Non usata in erboristeria, � una delle piantine spontanee pi�
buone. Conosciuta al pari del luppolo, usata per gustose
minestre nutrienti, vera leccornia. Pu� essere mangiata anche
cruda, da sola o con altre verdure, oppure come base per
frittate.
Periodo di raccolta: primavera.
Il nome del genere (silene) si riferisce alla forma del
palloncino del fiore. Si racconta che Bacco avesse un compagno
di nome Sileno con una gran pancia rotonda. Ma probabilmente
questo nome � anche connesso con la parola greca “sialon” (=
saliva); un riferimento alla sostanza bianca attaccaticcia
secreta dal fusto di molte specie del genere.
In francese il nostro genere si chiama “Sil�ne” o “Sormillet”,
in tedesco si chiama “Leimkraut” e in inglese “Catchfly”.
Perch� in lingua veneta si
chiamano sciopeti? per un semplice motivo: mettendo il fiore
tra le dita e battendo le mani si produce un piccolo scoppio.
Risotto con gli sciopeti
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Che cos'� la
rabbia silvestre
La malattia della rabbia �
ripartita principalmente al nord delle Alpi ed � causata da un
virus.
Il ciclo infettivo della
malattia � sostenuto dalle volpi che possono contagiare altri
animali selvatici o domestici. Il contagio pu� avvenire anche
fra animali di specie diverse dalla volpe (tutti i mammiferi) mentre il contagio
all'uomo avviene attraverso il morso o la contaminazione di
ferite superficiali con la saliva d’animali infetti. Il virus �
presente nella saliva degli animali infetti gi� alcuni giorni
prima della manifestazione dei sintomi.
Il periodo d’incubazione
della malattia pu� durare da alcune settimane fino ad oltre un
anno. I sintomi sono a carico dei sistema nervoso centrale, con
forma prevalentemente paralitica oppure eccitativa: la forma
paralitica provoca apatia, inattivit� e difficolt� di
movimenti; la forma eccitativa provoca aggressivit�,
ipereccitabilit�, spasmi e convulsioni. Nell'uomo la malattia
provoca ansia, cefalea, ipertonia muscolare, spasmi alla
laringe (idrofobia) convulsioni e infine la morte.
La diagnosi della malattia
deve avere la conferma da analisi da laboratorio e deve essere
fatta quando c'� un sospetto clinico in base ai sintomi
osservabili e alle circostanze (zona di diffusione della
rabbia, possibilit� di contatti con animali rabidi, ecc.).
Le misure di prevenzione
possono essere diverse e toccare i seguenti punti:
intensificazione della pressione venatoria sulle volpi;
vaccinazione antirabbica delle volpi con esche contenenti
vaccino; obbligo della vaccinazione dei cani almeno ogni 24
mesi; obbligo, per i cani utilizzati per la caccia, della
vaccinazione risalente a non oltre 12 mesi e ripetuta almeno
una volta (due vaccinazioni all'et� di 5/6 mesi e successivo
richiamo annuale); ev. vaccinazione di altre specie animali
(bovini, capre, pecore, gatti); vaccinazione delle
persone a rischio (veterinari, guardacaccia, ecc.) o ancora
evitando il contatto con animali sospetti.
La vaccinazione delle volpi
viene effettuata mediante esche che sono distribuite sui
territori abitualmente frequentati da esse. Le esche contengono
vaccino mescolato a farina di pesce, grasso e tetracicline. Le
componenti alimentari rendono il boccone appetibile per la
volpe, le tetracicline macchiano indelebilmente i denti e le
ossa del canide in modo da renderlo identificabile ai
successivi controlli. Il vaccino contenuto in una fiala viene
ingerito ed in questo modo si crea un cordone di volpi immuni
attorno al focolaio infettivo. Il metodo della vaccinazione
delle volpi da maggiori risultati per contrastare la rabbia,
che non l'abbattimento in massa di questi animali portatori,
poich� � stato dimostrato, che un territorio lasciato libero da
una volpe, viene presto occupato da un nuovo animale a sua
volta recettivo nei confronti della rabbia.
Una volpe stranamente diurna
o che non mostra paura nei confronti dell'uomo e si lascia
avvicinare, fa immediatamente scattare il sospetto che sia
affetta da rabbia. Qualunque strano comportamento da parte dei
mammiferi selvatici va considerato con attenzione come motivo
di sospetto di rabbia.
Le misure di lotta sono la
delimitazione di zone; obbligo dell'annuncio dei casi sospetti;
obbligo di tenere i cani al guinzaglio; obbligo di vaccinare i
cani di oltre 5 mesi contro la rabbia; uccisione,
rispettivamente osservazione degli animali sospetti; isolamento
e osservazione degli animali morsicatori sospetti durante 10
giorni; se entro tale termine l'animale non desta sintomi
sospetti, il contagio non ha avuto luogo; uccisione degli
animali che non possono essere catturati.
La lotta al randagismo si
attua con procedimenti coercitivi (cattura ed eventuale
abbattimento, artt. 83/87 del
Regolamento di Polizia
Veterinaria).
Nel caso di contatto con
l'uomo, la terapia � la seguente: dopo il morso da
un'animale rabbioso si deve fare un trattamento vaccinale
secondo lo schema OMS (buone possibilit� di successo)
altrimenti dopo l'inizio dei sintomi ogni intervento curativo �
vano.
La rabbia urbana si trova
nei paesi in via di sviluppo, � veicolata da cani, gatti o topi
che si trovano a contatto col le persone nelle citt� con scarse
condizioni igieniche. Provoca la morte di circa 52000 persone
all'anno (95% della mortalit� mondiale).
La rabbia si manifesta in due
modi:
La forma furiosa (75%) �
caratterizzata da vagabondaggio, perdita dell'orientamento,
perversione del gusto, scatti d'ira ingiustificati, alterazione
della fonesi, perdita di saliva, segni progressivi di paralisi
della muscolatura, coma e morte che sopraggiunge dopo 2/10
giorni dai primi sintomi.
La forma paralitica (25%) compare senza le
manifestazioni dell'aggressivit� che caratterizzano la forma
furiosa, la morte sopraggiunge dopo 2/4 giorni dall'inizio
della paralisi.
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Le pavoncelle sono tornate nelle
campagne della bassa trevigiana.
Sono uccelli eleganti sia quando
pedinano sul terreno sia in volo.
E' molto raro imbattersi in una
pavoncella isolata, infatti, le pavoncelle procedono sempre a
gruppi e prediligono gli spazzi aperti. Le distese coltivate
aperte e vaste sono il loro habitat, di preferenza si fermano
nelle zone umide ma anche sul terreno asciutto e, se possono,
evitano i luoghi ristretti. Basta percorrere in macchina una
stradina della bassa trevigiana e fermarsi a guardare sulle
distese di frumento, che in questo periodo sono alte pochi
centimetri, con un binocolo, si potranno vedere con buona
probabilit� degli uccelli che al volo risultano bianchi e neri,
con volo lento planato, muoversi a gruppetti e posarsi a terra.
Se sono a terra, camminano con passo spedito, specialmente se
qualcuno tenta d’avvicinarli, ma in questo caso si spostano
quanto basta per essere al sicuro. Il pi� delle volte � cos�,
ma per vederle da vicino basta avvicinarsi ad un centinaio di
metri ed attendere, saranno le pavoncelle ad avvicinarsi con
voli ricognitivi, in fin dei conti state violando il loro
territorio e questo alle pavoncelle non va proprio.
Le pavoncelle arrivano durante la
notte, dove il giorno prima non se ne vedevano, il giorno dopo
si presentano a gruppetti sparsi ma che rimangono in contatto
tra loro, pronti a riunirsi in caso di pericolo.
Il segreto della loro presenza
nelle nostre campagne? Da alcuni anni hanno preso a nidificarvi
stabilmente. Basta fare una passeggiata negli stessi luoghi
degli avvistamenti odierni, tra un paio di mesi, e sarete
bersagliati dai voli ravvicinati delle pavoncelle che cercano
di scacciarvi dal territorio di cova, pu� anche capitare di
vedere una pavoncella “ferita”, in questo caso la seguirete
convinti di soccorrere un povero animale in difficolt�, pronti
a dimostrare al mondo intero il vostro amore per un povero
animale ferito che, sorpresa, all’ultimo momento se ne va
volando perfettamente e beatamente. Ebbene vi troverete
sicuramente a poca distanza dalla zona scelta dalle pavoncelle
per deporre le uova ed allevare i pulcini. La cosa pi� saggia
da fere in questo caso, � di accontentare i genitori che
svolazzano attorno lanciando “grida” d’avvertimento, ed
allontanarsi lasciando le pavoncelle indisturbate ma facendo
molta attenzione a dove si mettono i piedi, anzi � preferibile
ripercorre a ritroso i passi gi� battuti poich�, sia le uova
delle pavoncelle sia i pulcini, sono perfettamente mimetizzati
col terreno e si corre il serio rischio di calpestarli
inavvertitamente.
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Colori e disegni degli uccelli
La colorazione degli uccelli
serve sia per le parate nuziali sia per la mimetizzazione. In
uccelli come pappagalli, tangare e nettarinie, combinazioni
audaci di rosso, blu e verde suggeriscono che questi uccelli
hanno una visione di colori ben sviluppata. Altre specie,
tuttavia, presentano una colorazione scialba per confondersi
con l'ambiente. I colori delle penne sono prodotti da pigmenti
di melanina e carotene depositati nelle barbe e barbule delle
penne, nonch� da alterazioni strutturali sulla loro superficie.
I blu e i verdi sono per lo pi� dovuti alla struttura, mentre
gli altri colori sono determinati dai pigmenti. I colori di un
uccello possono variare a seconda di sesso, et�, alimentazione
e stagione. In alcune specie gli adulti e i piccoli sono dello
stesso colore, in altre differiscono. Nel gabbiani i colori
variano di anno in anno fino al raggiungimento del piumaggio
adulto, verso i quattro o cinque anni. Maschi e femmine della
stessa specie possono avere colori di piumaggio diversi (il
cosiddetto dimorfismo sessuale). Nelle specie in cui �
la femmina a covare da sola le uova, i suoi colori sono
monotoni come protezione contro i predatori; l'opposto vale per
i falaropi, dove i maschi dai colori scialbi covano le uova e
le femmine variopinte si occupano delle parate nuziali. Gli
uccelli che mutano alla fine del periodo riproduttivo possono
perdere il piumaggio variopinto e ricoprirsi per l'inverno di
penne dal colori scialbi, che verranno a loro volta sostituite
da un piumaggio brillante in primavera. Alcune penne che
rivestono un ruolo preciso nel corteggiamento, come quelle
della Garzetta, vengono perse alla fine della stagione
riproduttiva.
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Organi di senso degli
uccelli
Gli uccelli sono dotati di vista
e udito ottimi, mentre l'odorato � poco sviluppato. Gli occhi
larghi e sporgenti sono fra gli organi sensoriali pi�
sofisticati del mondo animale. Con una vista cos� acuta, gli
uccelli sono bene equipaggiati per cercare cibo, evitare
predatori, scacciare gli intrusi e intraprendere rituali di
corteggiamento. Riescono a percepire dettagli minimi a grande
distanza e vedono da due a tre volte pi� lontano rispetto agli
esseri umani. Hanno la capacit� d'assorbire all'istante una
scena nel suo intero e il loro senso del colore � pi�
sviluppato rispetto agli uomini. L'eccellente udito permette
loro d'accorgersi di intrusi nel territorio o predatori in
avvicinamento, di sentire a distanza i richiami di potenziali
compagni cos� come i deboli richiami della prole. L'orecchio �
composto di tre parti: esterno, medio e interno; le prime due
sezioni incanalano le onde sonore dal mondo esterno nella
sezione a chiocciola piena di liquido dell'orecchio interno
(coclea). Le penne auricolari che proteggono l'orecchio dalle
turbolenze dell'ala durante il volo rendono difficile
distinguere la parte esterna. Le specie tuffatrici hanno
robuste penne protettive per ripararsi dall'acqua; nel tuffo
chiudono l'orecchio esterno, ripiegandone il margine
posteriore. Gli uccelli possiedono anche il senso del gusto,
anche se non � chiaro quanto riescano ad assaporare. Molti
hanno meno di 100 papille gustative; un essere umano ne ha
circa 10.000.
A seconda delle abitudini di vita, uccelli differenti hanno
caratteri adattativi specifici per la vista e l'udito. Gli
uccelli che si tuffano in cerca di pesci devono adattare il
movimento alla cattura della preda: se non si tuffassero
esattamente dove guizza il pesce, lo mancherebbero. Devono
quindi tener conto dell'indice di rifrazione dell'acqua, poich�
un oggetto sott'acqua � in realt� pi� vicino di quanto sembri.
Esistono alcune interessanti specifiche anche per l'udito.
Poich� la faccia a cuore di un Barbagianni non � perfettamente
simmetrica, le orecchie non sono allineate su un piano
orizzontale. L'animale si limita a muovere la testa su e gi� a
piccoli scatti per localizzare l'esatta posizione di un topo
che si muove a terra, persino nell'oscurit� pi� totale.
L'orecchio sinistro � pi� alto rispetto al destro ed � pi�
sensibile ai suoni che provengono dal basso. Alcuni uccelli,
come le salangane dei sudest asiatico, usano vocalizzazioni
riflesse (ecolocazione): riescono a orizzontarsi in caverne
buie emettendo brevi schiocchi che durano solo un millisecondo.
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Scheletro e ossa degli uccelli
Con un numero minore di ossa
rispetto a un rettile o ad un mammifero, un uccello ha una
struttura unica, ideata per sopportare le fatiche del volo. Gli
uccelli hanno ossa molto leggere che sono fuse e rinforzate per
rendere lo scheletro allo stesso tempo delicato e potente.
L'apparato scheletrico � composto di ossa, cartilagini, tendini
e legamenti che insieme sostengono il corpo dell'uccello;
fornisce il posto per l'attacco dei muscoli e permette la
riserva di fosforo, calcio e altri elementi. Le ossa sono vive:
mutano forma e composizione in risposta a stress fisici, come
il volo o la corsa, e a effetti della nutrizione, vitamine e
minerali. Il calcio presente oggi in un osso potrebbe in futuro
trovarsi in un altro. Alcune ossa contengono cavit� di midollo
rosso, dove si formano i globuli rossi. Le ossa assicurano
forza all'apparato scheletrico; la cartilagine � un tessuto pi�
molle presente nelle articolazioni. Durante lo sviluppo
dell'embrione, lo scheletro � formato solo da cartilagine, che
in seguito si indurir�; questo indurimento della cartilagine in
ossa (un processo detto ossificazione) si verifica in altri
vertebrati, compresi gli umani. Le ossa possono anche formarsi
direttamente in tessuti senza passare dallo stadio di
cartilagine. I legamenti connettono un osso all'altro, mentre i
tendini connettono i muscoli alle ossa. Uno scheletro di
uccello contiene due parti: lo scheletro assiale, composto di
cranio, collo, tronco e coda; e lo scheletro appendicolare,
composto dal cinto scapolare, con le ossa delle ali, e il cinto
pelvico, con le ossa delle zampe. L'ala � un arto anteriore
modificato.
Lo scheletro degli uccelli �
altamente adattato al volo, le ossa sono cave, il cranio
leggero, ha un ridotto numero di ossa nella spina dorsale e
nella "mano" e un becco privo di denti per ridurre il peso. La
fusione delle ossa, combinata a ulteriori rinforzi nelle ossa
cave, garantisce la potenza. I grandi muscoli dell'ala che
potenziano il volo sono attaccati alla carena dello sterno.
Negli uccelli adulti, le ossa del cranio sono perfettamente
fuse e non sono visibili linee di sutura (linee di confine fra
ossa). Le clavicole si uniscono fra di loro formando un unico
osso detto forcella, fra lo sterno e le vertebre, che assicura
forza allo scheletro. Quando un uccello vola, la forcella si
comprime e si espande a ogni battito d'ala. Le ossa della mano
e del polso sono ridotte di numero e fuse per sostenere le
penne per il volo (remiganti primarie). Le ossa delle ali sono
talmente adattate che l'ala fa poco pi� che sbattere durante il
volo. Alcune vertebre della spina dorsale sono fuse per
consentire ulteriore forza e leggerezza. La coda termina con la
fusione di alcune vertebre a formare il pigostilo, che
controlla il movimento delle penne della coda e garantisce
capacit� di manovra.
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Becco
I becchi servono alla maggior
parte degli uccelli per procacciarsi e manipolare il cibo.
Hanno un solo carattere comune: sono sprovvisti di denti. Per
il resto, variano enormemente in forma e dimensioni, caratteri
che riflettono l'alimentazione delle specie. Fra i tanti scopi,
sono infatti adattati a dilaniare carne (falchi), afferrare
pesci (sterne), rompere semi (pappagalli, fringuelli), sondare
gli interstizi (picchi) o la sabbia (piovanelli), filtrare
microrganismi (fenicotteri). Anche il colore varia:
generalmente � poco appariscente, ma a volte pu� essere
brillante, se il becco � usato durante il corteggiamento. Un
becco si compone di quattro parti principali: mandibola
superiore, mandibola inferiore, grandi muscoli della mascella e
ranfoteca, una lamina cornea che lo ricopre interamente. La
ranfoteca pu� essere liscia, ma presenta una punta acuminata
nei falchi e nel pappagalli e un'estremit� seghettata negli
smerghi. La lingua � usata per catturare, manipolare,
inghiottire e assaggiare il cibo; come il becco, anch'essa
varia in forma e lunghezza: quella lunga e sottile dei picchi
pu� guizzare nelle cavit� degli alberi, mentre quella biforcuta
permette ad alcuni colibri di succhiare il nettare dei fiori.
Molti uccelli hanno ghiandole salivari per inumidire il cibo.
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Galaverna: brumestega
(trevisano e veneto), ziibria (basso Piave), brosema (Mestre e
padovano).
Una crosta di spuntoni di ghiaccio
che ricoprono ogni cosa: rami degli alberi, fili, i parapetti
delle strade. Questa � la galaverna (o "calaverna"), uno dei
fenomeni meteorologici pi� spettacolari.
Ma come si forma? Perch� si
verifichi sono necessarie alcune condizioni. In primo luogo, la
temperatura dev’essere sotto lo zero. In secondo luogo deve
esserci almeno una bava di vento. In terzo luogo deve esserci una
nube o della nebbia formata da una miriade di goccioline d’acqua
allo stato sopraffuso.
Molto spesso, infatti, le nubi sono formate da minuscole
goccioline d’acqua anche quando la temperatura si trova anche di
molto al di sotto dello zero e questo succede perch� l’acqua
pura, a meno che non esistano delle sostanze cristalline che
fungano da nuclei di cristallizzazione, tende a restare allo
stato liquido fino a temperature dell’ordine dei – 40�C. Se,
per�, la gocciolina d’acqua urta contro un ostacolo, subito essa
congela al di sopra di quest’ultimo. � questo il motivo, ad
esempio, per cui sugli aerei che attraversano dei banchi di nubi
in quota tendono a formarsi dei depositi di ghiaccio che, in
alcuni casi, possono risultare assai pericolosi.
Detto questo, siamo in grado di capire il meccanismo per cui si
forma la galaverna. Le minuscole goccioline d’acqua della nube o
della nebbia, che restano allo stato sopraffuso nonostante la
temperatura sia inferiore allo zero, vengono spinte dal vento ed
urtano contro una serie di ostacoli come rami degli alberi, fili,
erba e via dicendo. Immediatamente dopo l’urto, la goccia
congela. Si forma cos� una sorta di crosta di ghiaccio che si
allunga verso la direzione contraria da cui proviene il vento. Tale crosta
sar� tanto pi� spessa e tanto pi� allungata quanto pi� a lungo
permarranno le tre condizioni di cui si � detto sopra e, in
genere, sar� pi� spessa quanto pi� l’aria sar� carica di umidit�.
In genere, i cristalli di galaverna di allungano da 1 a 3 cm al
giorno, per cui, se noi troviamo dei cristalli lunghi 6 cm, �
chiaro che le condizioni di freddo con nebbia permarranno da
almeno due giorni.
In generale, le zone in cui la galaverna si verifica pi�
frequentemente sono le zone appenniniche ed alpine, in cui le
nubi basse fungono da serbatoio di umidit�, e la Pianura Padana,
in cui molto spesso si possono trovare giornate nebbiose con
temperatura inferiore allo zero.
Per farsi la galaverna "in casa", � necessaria solo un po’
d’acqua distillata dentro uno spruzzatore (bisogna regolarlo in
modo che polverizzi molto finemente l’acqua). Se, in una mattina
fredda, con temperatura inferiore allo zero, noi cominciamo a
spruzzare l’acqua contro, ad esempio, i rami dell’albero di
Natale appena rimesso sul terrazzo, in pochi minuti vedremo
crescere (specialmente se c’� un po’ di vento) una crosta bianca
di ghiaccio su ogni ago.
Traduzioni linguistiche di Claudio
Cesaro.
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I giorni della merla
Sono chiamati "giorni della
merla" gli ultimi tre giorni di gennaio, ovvero il 29, 30 e 31,
che, secondo la tradizione popolare, sono considerati i giorni
pi� freddi dell'inverno
Il nome deriverebbe da una leggenda secondo la quale,
per ripararsi dal gran freddo, una merla e i suoi pulcini, in
origine bianchi, si rifugiarono dentro un comignolo, dal quale
emersero il 1� febbraio, tutti neri a causa della fuliggine. Da
quel giorno tutti i merli
furono neri.
Secondo una versione pi� elaborata della leggenda una merla,
con uno splendido candido piumaggio, era regolarmente
strapazzata da Gennaio, mese freddo e ombroso, che si divertiva
ad aspettare che la merla uscisse dal nido in cerca di cibo,
per gettare sulla terra freddo e gelo. Stanca delle continue
persecuzioni la merla un anno decise di fare provviste
sufficienti per un mese, e si rinchiuse nella sua tana, al
riparo, per tutto il mese di Gennaio, che allora aveva solo 28
giorni. L'ultimo giorno del mese, la merla pensando di aver
ingannato il cattivo Gennaio, usc� dal nascondiglio e si mise a
cantare per sbeffeggiarlo. Gennaio si risent� talmente tanto
che chiese in prestito tre giorni a Febbraio e si scaten� con
bufere di neve, vento, gelo, pioggia. La merla si rifugi� alla
chetichella in un camino, e l� rest� al riparo per tre giorni.
Quando la merla usc�, era s�, salva, ma il suo bel piumaggio si
era annerito a causa del fumo e cos� rimase per sempre con le
piume nere.
Come in tutte le leggende si nasconde un fondo di verit�, anche
in questa versione possiamo trovarne un po', infatti nel
calendario romano il mese di gennaio aveva solo 29 giorni, che
probabilmente con il passare degli anni e del tramandarsi
oralmente si tramutarono in 31. Sempre secondo la leggenda, se
i Giorni della Merla sono freddi, la Primavera sar� bella, se
sono caldi la Primavera arriver� in ritardo.
Per quanto la leggenda parli di una merla, nella realt� questi
uccelli presentano un forte dimorfismo sessuale nella livrea,
che � bruna - becco incluso - nelle femmine, mentre � nera
brillante - con becco giallo-arancione - nel maschio.
A cura di Mauro Vian.
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Energia pulita prodotta nel padovano
A Bagnoli di Sopra, in provincia
di Padova, � stato inaugurato il pi� grande impianto
fotovoltaico e per il biogas del Veneto. I pannelli
fotovoltaici, grazie ad un computer, seguono il sole
perpendicolarmente ai raggi, per ottimizzare la raccolta della
luce e catturare il massimo dell'energia. L’impianto di
Bagnoli � stato realizzato con un investimento di 9 milioni di
euro (nonostante la recessione planetaria) e riesce a produrre
energia
elettrica pulita e quindi alternativa, che � poi venduta
all'Enel, allo stesso modo di come avviene per l'energia
prodotta con i gas ricavati dal mais. La realizzazione di
quest’impianto diventa l’occasione per riflettere su quante
possano essere le alternative al nucleare, se si pensa ai
problemi energetici italiani, e su quante possano essere le
alternative alla semplice coltivazione dei campi, se si pensa
ai problemi dell'agricoltura.
I pannelli fotovoltaici
sono al silicio e sono il frutto della ricerca spaziale di
qualche decennio fa. Nel podere di Bagnoli ne sono stati
installati fino a coprire una superficie di 40 mila metri
quadrati, di cui 7.500 metri di superficie a specchio. In un
anno ci sono circa 8 mila ore, quattromila con la luce. In
media in una localit� come Bagnoli, le ore di sole in un anno
sono 1.100. In Puglia si arriva a 1.500, in Sicilia a 1.700, in
Israele perfino a 2 mila ore. In quest’angolo di padovano, si
produce un megawatt d’energia, che viene pagata dall'Enel 46 centesimi di euro al Kw, con
la previsione di un fatturato annuo che si dovrebbe aggirare
attorno ai 3 milioni di euro.
L’impianto per la produzione
del biogas trae l'energia dal mais, coltivato su 250
ettari e, a dispetto di quello
che sostengono gli ambientalisti, non comporta spreco d'acqua.
L'energia del biogas � pagata dall'Enel 28 centesimi per Kw.
Viene da chiedersi quanto sia competitivo un impianto di quest’entit�
se confrontato con
una centrale elettrica, tipo Polesine Camerini, o nucleare,
come si prevede di costruire in Italia. L'ingegner Leopoldo Franceschini, amministratore di Ecoware, la societ� per azioni
padovana produttrice dei pannelli, sa bene che la centrale sul
Po pu� produrre fino a 500 volte l'energia che � prodotta in
quest’azienda padovana, mentre una centrale nucleare pu�
arrivare a 1.200 volte, ma c'� qualche dato aggiuntivo che fa
sembrare molto bella l'energia prodotta con il sole o con il
mais:
l'impianto ecologico di Bagnoli si ripaga in dieci anni, per una centrale
nucleare ci vogliono 60 anni e il danno ambientale,
reale o potenziale, � vicino allo zero. Per quanto riguarda il
nucleare, nessuno discute sulla sua utilit�, ma ci sono luoghi
sensibili come il Veneto dove l'installazione di una centrale
nucleare causerebbe contraccolpi su settori strategici come il
turismo o la fragile economia rurale legata ai prodotti tipici. Le agroenergie, al
contrario, indicano una via di sviluppo per l'agricoltura in
crisi, ne � convinto Antonio Da Porto, presidente di Confagricoltura di Padova che
all'inaugurazione dell'impianto di Bagnoli ha dichiarato: "...
rappresentano
un'opportunit� sia sul piano ambientale che sotto il profilo
economico, numerose aziende agricole venete stanno progettando
e realizzando impianti solari, impianti per la produzione di
biogas o per la combustione di biomasse agroforestali. Di anno
in anno aumentano le superfici coltivate a colza, girasole,
mais, per i biocarburanti".
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Lucciole
Oggi, grazie al graduale
abbandono d’alcune pratiche agricole distruttive e alla
diffusione degli incolti nelle campagne, le lucciole si stanno
riprendendo un po' di spazio vitale, tornano a “illuminare” le
calde serate estive. Si tratta certamente d’un buon segnale per
questi simpatici, famosi animaletti che, pochi lo sanno,
conducono una vita molto complessa. In Italia vivono diverse
specie di lucciole, ma le pi� comuni sono Lampyris noctiluca
e Luciola italica. Sono coleotteri che appartengono ad
una particolare famiglia, i Lampiridi, presenti in
Europa, Asia e tropici. Tutti noi abbiamo visto questi “lumini
evanescenti” svolazzare nelle notti estive, ma pochi sanno che
sono tutti maschi, infatti solo questi hanno la capacit� di
volare, anche se non velocemente, tanto � vero che riusciamo a
rincorrerle ed a catturarle facilmente. I maschi raramente
superano il centimetro e, a dire il vero, sono anche un po’
bruttini: sono scuri con un torace pi� chiaro e lunghe elitre
nere. La vera sorpresa sono le femmine: mentre in Luciola �
piuttosto simile al maschio, in Lampyris il dimorfismo sessuale
� molto marcato. La femmina � inetta al volo e lunga circa 2
cm. Le sue ali sono ridotte a minuscole squame inutilizzabili
appoggiate su un corpo grigio bruno ben segmentato, molto
simile a quello delle larve. In entrambi i sessi, cosi come
nelle larve, nella parte finale del corpo e situata una
fonte luminosa ad altissima efficienza. Le lampadine a
incandescenza che utilizziamo noi (e che stanno per andare in
pensione) convertono in luce solo il 10% dell'energia
utilizzata, con i Led si arriva al 30%, ma il resto
dell’energia va sprecato in calore e dispersioni. Le lucciole
riescono ad trasformare in luminosit� un impressionante 90%
dell’energia utilizzata e ci� spiega il grande interesse da
parte dei ricercatori nei confronti di questo animaletto.
Il segnale intermittente �
utilizzato dai maschi come richiamo sessuale ed � emesso in
volo a circa un metro di altezza. Le femmine, in attesa al
suolo, rispondono con un debole lampeggio che indica al maschio
dove atterrare, ma la competizione � spietata e solo i maschi
pi� rapidi e luminosi riescono ad accoppiarsi. La copula
avviene in modo sbrigativo ed il maschio muore dopo qualche
giorno. Le lucciole adulte, quindi vivono molto poco e durante
la loro breve vita non consumano neanche un pasto. Le uova,
circa un centinaio, sono deposte nel terreno umido e poche
settimane dopo, nascono le larve, che hanno una vita
completamente diversa da quella degli adulti: sono predatori
tenaci, specializzati nell'aggressione alle chiocciole. La loro
unica preoccupazione sin dal momento della nascita (fine
estate) � andare a caccia, soprattutto nelle umide serate
autunnali, quando anche le chiocciole entrano in attivit�. La
larva sembra simile alla femmina adulta, pu� emettere luce ed a
un lungo addome segmentato di colore bruno scuro. E’ cieca e
ricerca la preda con l'olfatto facendosi guidare dalla scia di
bava dei gasteropodi. Una volta raggiunta la preda, la larva
s’arrampica sulla conchiglia, sfruttando oltre alle sei zampe
cursorie, anche una particolare appendice alla fine dell'addome
dotata di un organo adesivo, morde ripetutamente la vittima al
capo e vi inietta un veleno paralizzante che immobilizza e
pre-digerisce la parte colpita (un buon pasto pu� bastare per
diverse settimane). Serviranno un paio di anni ed un inverno di
latenza perch� la larva completi lo sviluppo e la
metamorfosi dando vita, ai primi di giugno, alla forma
adulta. Da quel momento in poi la loro unica preoccupazione
sar� la riproduzione. Il segreto della luminosit� di
questo insetto, sta nella reazione chimica di ossidazione di
una proteina, la luciferina, da parte di un enzima specifico,
la luciferasi, che si trovano nel suo addome. Da questo
processo � generata energia luminosa di natura chimica, non
potente ma molto efficiente. Un processo simile � utilizzato
nelle barrette gialle fosforescenti in grado di generare luce
chimica (i pescatori le conoscono). Le lucciole non sono le
uniche che utilizzano la bioluminescenza e, in
particolar modo tra gli insetti, vi sono alcuni Coleotteri
Elateridi (Pyrophorus, luminosissimi), le larve d’alcune mosche
che attirano le prede con la luce, ed altri ancora. Le lucciole
sono presenti alle quote medio-basse, con frequenze molto
diverse e si possono vederle nelle notti di giugno e luglio
senza luna, evitando zone intensamente coltivate o troppo
illuminate, dove gli insetti hanno difficolt� a comunicare con
le luci.
Fonte: Piemonte Parchi
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Vischio
Il vischio per secoli �
stato appeso all'ingresso delle abitazioni, come simbolo di
pace e prosperit�, sopra le culle dei bambini e anche al collo
dei capi di bestiame. In alcune regioni africane la pianta �
considerata sacra. In Europa, i contadini credevano che la
pianta fosse capace di domare gli incendi, per questo ne
appendevano sui tetti delle case. Bisognava raccogliere quello
sulle querce, non prima della mezzanotte della vigilia del
Natale e colpendolo con un bastone, si afferrava il cespo al
volo prima che toccasse terra. Si tratta di una pianta
semiparassita, in grado di svolgere autonomamente la
fotosintesi, ma che vive sui rami di alcune piante “ospiti" per
poter trarre acqua e sali minerali grazie a speciali radici,
gli austori, che si inoltrano nel loro tronco. Appartiene alla
famiglia delle Lorantbaceae, presente in Italia con tre specie:
l’Arceuthobium oxicedri con foglie a squame e bacche bluastre
che cresce sul ginepro, il Lorantbus europaeus o vischio
quercino dalle foglie caduche e bacche giallastre che cresce
sulle querce e il Viscum album o vischio comune, pi� conosciuto
per la tradizione natalizia, e che cresce anche su alcune
conifere, ma a differenza del vischio quercino ha foglie
sempreverdi e bacche biancastre. Ha un portamento arbustivo,
con rami e fusto di colore verde-grigiastro, foglie opposte e
prive di picciolo, coriacee e carnose, di forma
oblungo-lanceolata e con 3-5 nervature. Le piante sono dioiche,
ovvero alcuni esemplari portano solo fiori maschili, altri solo
femminili, e fiorisce da marzo a maggio. I suoi frutti
maturano proprio durante l'inverno, sotto forma di bacche
sferiche simili a bianche perle. Pianta magica per i Celti,
secondo la leggenda nasceva dove il fulmine aveva colpito un
albero e quindi sembrava piovere direttamente dal Cielo.
Considerata lo sperma della sacra quercia, in particolare del
rovere, perch� si credeva che le bacche del vischio fossero
gocce del liquido seminale del dio del Cielo. Per la simbologia
era importante che le sue bacche si sviluppassero in nove mesi,
proprio come il feto umano e si raggruppassero in numero di
tre, altro numero da sempre sacro per molte culture. inoltre
era sempre diretto a nord, verso la stella polare, con una
forma semisferica che per gli antichi rappresentava il pianeta
Terra e la volta celeste. La riproduzione di questa
pianta avviene in modo particolare: se il seme cade a terra non
germoglia ma � necessario che un uccello ne mangi le bacche e
che le evacui su un ramo che diventer� poi il suo supporto
vitale. Ecco perch� quest'insolita pianta era legata
simbolicamente al mondo degli uccelli e dell'aria, sfera
misteriosa e divina, lontano per sua natura dall'attrazione
della terra minerale a cui sono sottoposte tutte le altre
piante. Secondo il rito celtico, perch� il vischio non
perdesse il suo potere magico, doveva essere staccato
dall'albero sul quale cresceva, con un falcetto d'oro, e
lasciato cadere su di un bianco lenzuolo di lino. Sotto
l'albero di quercia vi erano legati due buoi bianchi che dopo
la raccolta, venivano sacrificati alla divinit�. Questa
raccolta, secondo alcuni, avveniva in due momenti particolari
dell'anno: a Samhain, il 1 novembre, vero e proprio capodanno
celtico, e in estate durante la famosa festa di San Giovanni,
durante l'ultimo quarto di luna. Veniva poi lavato in acqua
corrente di un torrente, per simboleggiare il battesimo.
Secondo la simbologia della signatura delle piante, il liquido
appiccicoso che fuoriusciva dalle sue bacche schiacciate era
paragonabile al seme maschile, per cui si riteneva donasse la
fertilit� a ogni animale sterile e si riteneva avesse doti
ringiovanenti e persino che conferisse l'immortalit�. Plinio,
famoso naturalista romano lo chiamava il "risanatore di tutti i
mali” e nella sua Historia naturalis cos� annota: �Occorre non
dimenticare l'ammirazione dei galli per il vischio. I druidi lo
colgono sulla quercia all'inizio della luna, senza usare arnesi
di ferro e senza che tocchi terra; credono che guarisca
l'epilessia, faccia concepire le donne che ne portano addosso e
che, masticato e applicato sulle ulcere, le guarisca
completamente�. Accertate invece le propriet� ipotensive,
diuretiche, lassative, antispasmodiche, immunostimolanti delle
foglie, anche se vanno usate con prudenza per via di una certa
tossicit�. La medicina antroposofica lo impiega come
antitumorale, ma i meccanismi d’azione di questa
importantissima attivit� farmacologica sono ancora da
verificare. Le bacche sono tossiche. Una curiosit�: il succo
delle bacche veniva usato per preparare colle usate
nell'uccellagione, oggi vietata, ma che ancora si usano per
catturare i topolini. A questo uso fanno riferimento alcuni
modi di dire: pu� essere "vischiosa" una sostanza attaccaticcia
o una persona particolarmente tediosa, mentre non � gradevole
rimanere "invischiati" in certe situazioni.
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L'inanellamento
Lo studio scientifico delle
migrazioni, utilizzando anelli posti alle zampe degli uccelli,
ebbe inizio grazie all'ornitologo danese Mortensen, che
a partire dal 1889 inizi� ad inanellare alcuni storni con
anelli metallici applicati alle zampe. Su tali anelli vi era
inciso il nome della localit� (Viborg Danimarca) e l'anno dell'inanellamento.
Il sistema di contrassegnare ogni singolo individuo per
studiarne i movimenti migratori, si dimostr� subito efficace,
trov� larga diffusione nel mondo e rimane ancora oggi il metodo
di ricerca pi� diffuso. Gli anelli comunemente usati sono
realizzati in alloy, una lega leggera di magnesio ed
alluminio. Su tali anelli, vi � impresso il nome del centro d'inanellamento
che ha proceduto alla marcatura, una lettera dell'alfabeto ed
un numero d'ordine progressivo. Per gli uccelli che vivono in
mare sono invece utilizzati anelli in acciaio o incoloy,
che sono in grado di resistere all'azione abrasiva della sabbia
e alla salsedine. Il diametro dell'anello � proporzionale alla
grandezza del tarso dell'uccello, in modo che una volta
applicato non possa impacciare l'articolazione o sfilarsi. Gli
uccelli da contrassegnare sono catturati nelle innumerevoli
stazioni di inanellamento distribuite in tutto il mondo.
L'attivit� di marcatura � coordinata a livello internazionale
da organizzazioni scientifiche in grado di impartire le
necessarie direttive generali. La prima di tali organizzazioni
sorse nei primi anni del 1900 sulle rive del mar Baltico, in
una regione di grande importanza per il notevole passo durante
le stagioni della migrazione. Seguirono poi altre stazioni nel
volgere di pochi anni in quasi tutti gli Stati europei. In
Italia il prof. A. Ghigi, nel 1929, istitu� l'Osservatorio
ornitologico del Garda. Attualmente l'attivit� d'inanellamento
� organizzata a livello europeo dall'Unione europea per l'inanellamento
(Euring) che, tra l'altro, ha il compito di organizzare
e standardizzare l'inanellamento a scopo scientifico in Europa.
In Italia, fin dalle origini, il Centro nazionale ebbe sede nel
Laboratorio di zoologia applicata alla caccia. Dagli anelli si
ottengono informazioni su due momenti precisi della vita di un
uccello: quello in cui � inanellato e quello in cui viene
ripreso. Dall'accumulo e dallo studio dei dati raccolti se ne
ricavano le seguenti informazioni:
- la definizione delle aree di nidificazione e di svernamento;
- l'individuazione delle direttrici seguite durante la
migrazione;
- la definizione delle aree di
sosta;
- il calendario del passo di ciascuna specie;
- la durata dei viaggi e l'influenza delle condizioni
atmosferiche;
- la dispersione dei giovani e la loro colonizzazione di nuove
aree;
- la durata media della vita di ogni specie e l'inizio e la
fine dell'et� riproduttiva;
- le problematiche legate alla conservazione degli uccelli.
- notizie di carattere biologico,
etologico ed ecologico d'interesse scientifico.
Fonte dati: Il Cacciatore
italiano, organo ufficiale della Federcaccia.
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Il petrolio italiano
Nell’estate del 2008 il prezzo
del greggio sfiorava i 150 dollari al barile e sembrava
destinato a raggiungere i 200. La crisi economica mondiale ha
spinto il prezzo gi� e ancora gi�, fino a poco sopra i 30. Una
cosa poco nota � che in Italia, in Basilicata, esiste un
giacimento dal quale ci si aspettano 50 mila barili al giorno a
partire dal 2011. Fino ad oggi sono stati investiti 250 milioni
di euro, altri 800/900 fino al 2012. Ma l’Italia � un Paese
unico al mondo, e la strada per arrivare allo sfruttamento si �
rivelata un impervio sentiero pieno di ostacoli come la
burocrazia, la politica, la trattativa con i governi locali,
ecc. Ovviamente c’� anche un’indagine della magistratura
proprio sulle presunte “scorciatoie” per aggirare questi
ostacoli: accuse di trucchi e mazzette negli appalti per
realizzare a Corleto Perticara, l'impianto di primo trattamento
del greggio di Tempa Rossa. I fatti di cronaca giudiziaria
hanno portato alla nostra attenzione la realt� e abbiamo
scoperto che anche il nostro � un Paese dove si cerca e si
trivella un sottosuolo un tempo monopolizzato dall'Eni (e dove
le compagnie di tutto il mondo “bucano” terra e mare). Solo
nel 2007 sono stati scoperti 11 nuovi pozzi, l'anno prima erano
stati nove. E le richieste di permessi di ricerca si sono
decuplicate in dieci anni: dalla padania al Canale di Sicilia,
dalle colline abruzzesi alla Val di Noto, alla ricerca di un
“bottino” che secondo Assomineraria vale pi� di 100 miliardi di
euro. Si tratta di uno strato tesoro che spesso non piace agli
abitanti del soprasuolo.
La puzza classica dell'uovo
marcio, arriva dalla desolforizzazione del petrolio che si
fa a Viggiano, piccolo paese della Basilicata che, con i suoi
tremila abitanti, � da dieci anni la capitale europea del
greggio: quello della Val d'Agri, 90 mila barili al giorno, il
75% della produzione italiana e circa il 5% del nostro
fabbisogno energetico.
Il miracolo economico non si
vede girando per le strade vuote dei paesi della Val
d'Agri. Parlando sia con i pastori che cercano di tener le
pecore lontane dalle aree recintate dei pozzi e sia con i
contadini che si lamentano perch� c'� meno acqua, sembra
lontano l'ottimismo iniziale dei “contadini di montagna”,
attaccati alla terra.
La regione ha perso 6 mila
residenti negli ultimi cinque anni, la popolazione
invecchia e l'emigrazione intellettuale dei giovani laureati �
aumentata. Nei lontani anni cinquanta di Enrico Mattei un
povero paese aggrappato alle colline pelate dell'Appennino
meridionale poteva essere scosso da una notizia strabiliante:
"L'Agippe ha trovato il petrolio! … diventiamo tutti ricchi!".
Le voci, ampliate dai partiti al governo, i cortei capitanati
da sindaci e vescovi, le bandiere ed i gonfaloni, radunarono
nelle piazze un’Italia che sognava lo sviluppo e la grande
industria: il petrolchimico e tutto il suo indotto. Decine di
migliaia di posti di lavoro, dei quali adesso resta lo
strascico di veleni e le cattedrali nel deserto: Gela, Melilli,
Priolo, Pisticci (in Basilicata polo chimico ormai defunto) e
su per la penisola fino al “petrolkiller” di Marghera. Adesso
nessuno chiede pi� all'”Agippe” di fare la fabbrica accanto ai
pozzi. Prima gli enti locali chiedevano impianti e lavoro,
adesso chiedono soldi (a volte, sospettano i giudici di
Potenza, sottobanco).
Il fatto � che il petrolio non
porta lavoro. Per il Centro Oli di Corleto Perticara prima
della bufera giudiziaria, Total prevedeva di assumere in tutto
150 persone. Numeri analoghi a quelli di altri centri. Nel
periodo di costruzione degli impianti di trattamento e
dell'oleodotto, si sono occupare 1.900/2.000 persone. Adesso,
il Centro Oli ha 130 dipendenti Eni. Piccoli numeri dovuti alla
natura dell'industria petrolifera, che ha alta tecnologia e
basso contenuto di occupazione.
Il miracolo non c'� stato
e non poteva esserci, sono un migliaio i lavoratori del
petrolio in Val d'Agri, tra occupati diretti e indotto.
L'entrata in funzione dell'oleodotto che porta il greggio a
Taranto ha dimezzato il business ai padroncini
dell'autotrasporto, che prima portavano il petrolio su gomma.
Vanno bene invece i lavori edili e i servizi: bar, ristoranti,
alberghi.
Le royalties, fissate
finora al 7% del prezzo al barile, hanno portato nelle casse di
Regione e comuni 90 milioni di euro nel 2007. Non � poco, per
un territorio grande quanto un quartiere di Napoli. E l'accordo
con Total le farebbe salire ancora: la multinazionale francese
ha aggiunto alle royalties fissate per legge altri 50 cent al
barile, pi� varie spese di “promozione” per la Regione. Questa
rendita finora � stata utilizzata soprattutto per finanziare
infrastrutture e costruzioni: strade, marciapiedi, centri
polisportivi, strutture alberghiere, piscine, chiese, centri
per anziani, ludoteche, box per cavalli (?), ecc. Dei 73
milioni di spesa programmata, a oggi ne sono stati usati 11. A
Viggiano, su 2,7 milioni, solo 80 mila. Oltre alle
vicissitudini giudiziarie, � in corso uno scontro tra le
regioni petrolifere e il governo, che rivendica una parte delle
royalties e i poteri in materia di autorizzazioni e
concessioni. Si fa strada tra i politici lucani la richiesta di
una moratoria a tutte le nuove trivellazioni, con soddisfazione
degli ambientalisti che per� sperano non si tratti solo di una
reazione all'inchiesta.
Il Parco naturale della Val
d'Agri, progettato ancor prima che si scoprisse il petrolio
e malvisto anche dalle popolazioni, nato solo qualche mese fa,
ha un perimetro strano perch� i suoi confini girano attorno
agli impianti della multinazionale francese. Il paradosso
ulteriore � che il Parco potrebbe finire per essere finanziato
dai soldi del petrolio.
Il governo ha di recente
sbloccato la corsa all'oro nero. Tutto ruota attorno a un
progetto dell'Eni, che dopo aver scoperto nel 2001 un tesoretto
(Miglianico 1 e 2) di 7 mila barili al giorno tra le colline
del Montepulciano, ora vuole aprire un altro Centro Oli a
Ortona: a due passi dai pozzi e dal porto, ma anche dai centri
abitati e dai vigneti. Insorgono gli ambientalisti, si dividono
gli amministratori: chi si schiera per il Centro, allettato dai
posti di lavoro e dalle royalties, chi contro.
La Provincia di Chieti ha
affidato all'istituto scientifico Mario Negri Sud una
valutazione rapida dell'impatto sull'ambiente, la salute e
l'economia. Risultato: l'Eni aveva sottostimato, in alcuni casi
di 5 e persino 20 volte, le ricadute al suolo delle sostanze
emesse. La multinazionale invece sostiene che le emissioni
rispettano i limiti di legge e ha chiesto studi pi�
approfonditi sui venti, una valutazione di impatto sanitario
sull'esposizione prolungata a queste sostanze, e soprattutto
dell'impatto sugli ecosistemi. L'istruttoria tecnica �
conclusa: adesso la decisione � politica.
La Regione Abruzzo, prima
di essere travolta dallo scandalo della sanit� che ha portato
in carcere il suo ex presidente Del Turco, aveva messo una
moratoria all'impianto di Ortona.
E in campagna elettorale anche il neoeletto presidente Gianni
Chiodi, del centrodestra, si era schierato contro la
costruzione del Centro Oli. Ma pochi giorni dopo la chiusura
delle urne, il colpo di scena: il consiglio dei ministri ha
impugnato la legge abruzzese, avocando al governo ogni
decisione in nome dell'interesse nazionale. E se lo stato
allunga le mani sul petrolio che � sottoterra, era gi� suo
tutto quello che � nel mare: come il giacimento che si �
aggiudicata l'inglese Medoil proprio di fronte a Ortona (20
milioni di barili).
Dalla Pianura Padana
vengono su mille barili al giorno, da 3.200 metri di
profondit�. Pozzo San Giacomo 1, attivo da tre anni, � l'ultimo
del giacimento Cavone, scoperto nel '73 ed entrato in
produzione nell'80. La memoria va al pi� grande incidente
petrolifero italiano, quello di Trecate, nella Bassa novarese,
dove durante la perforazione di un pozzo qualcosa and� storto e
un geyser di petrolio innaffi� per 36 ore campi, risaie e paesi
circostanti. Quattordici anni dopo, si cerca ancora. Gli
irlandesi di Petroceltie e i nord-irlandesi di North Petroleum
scavano intorno a Trecate. Sui presunti giacimenti di Ossola,
in Piemonte, si stanno facendo guerra Edison e l'australiana
Pve. Intanto, i vecchi giacimenti di Piemonte, Lombardia ed
Emilia-Romagna chiudono o stanno per farlo, prima ancora di
compiere venti anni.
L'inchiesta della Procura di
Potenza, che ha portato il 17 dicembre all'arresto
dell'amministratore delegato di Total Italia Lionel Levha e
dell'imprenditore Francesco Ferrara, e alla richiesta di
arresti domiciliari per il deputato del Pd Salvatore Margiotta,
riguarda presunte irregolarit� negli appalti per la
realizzazione del Centro Oli di Tempo Rosso, nel Comune di Corieto Perticara. I giudici contestano al costruttore e ai
vertici Total un patto corruttivo da 15 milioni di euro. La
Camera dei Deputati non ha dato l'autorizzazione all'arresto di
Margiotta. Nell'ambito dell'inchiesta � indagato anche, per
favoreggiamento e rivelazione di segreto d'ufficio, il
presidente della Regione Vita De Filippo.
Articolo tratto da notizie
internet, Vanity Fair e altri periodici. P. E.
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Le guerre sconosciute per il cotone
Di recente � uscito un
libro di Pietra Rivoli (esperta di finanza e questioni sociali
della Georgetown University), “I Viaggi di una T-Shirt
nell'economia globale”, Apogeo Editore, dove sono raccontati
gli interessi che ruotano attorno al cotone nell'economia
globale. La storia di una t-shirt diventa lo spunto per parlare
di globalizzazione, d’intrecci e interessi dei mercati e delle
politiche commerciali e industriali internazionali.
Fin dalla fine del 1600 il
governo britannico adott� misure per proteggere gli interessi
legati al mercato della lana, minacciato dalla morbidezza e dal
basso costo del cotone proveniente dalle colonie. Si cerc�
d’impedire l'accesso al mercato dei vestiti di cotone indiani.
A distanza di tre secoli si lotta ancora: in Texas per
continuare a produrlo, con sussidi e investimenti; in vari
paesi si lotta per filare i fiocchi di cotone; nei Paesi
Caraibici si lotta per tesserlo; in Cina si lotta per
confezionare magliette; negli USA si lotta per le quote
d’esportazione; in Africa si lotta per accaparrarsi i vestiti
da rivendere.
Tra il 1815 e il 1860 il
cotone costituiva la met� delle merci che lasciavano gli Stati
Uniti, e gran parte era diretto in Inghilterra, dove la domanda
di fibre tessili a basso costo era cresciuta notevolmente.
Proprio il divieto alle importazioni di tessuti di cotone
indiani aveva spronato lo sviluppo industriale (nato con le
macchine a vapore) per tessere e filare il cotone grezzo.
In America, il problema dei
coltivatori di cotone era costituito dalla necessit� di mano
d'opera in gran quantit� ma solo in alcuni momenti precisi. Il
cotone va raccolto da asciutto e in breve tempo, aspettare di
pi� significa rischiare che il vento strappi il cotone dalle
piante e lo sporchi, quindi bisogna agire in tutta fretta. In
un’economia di libero mercato, in un momento di alta domanda, i
lavoratori avrebbero potuto chiedere di farsi pagare molto e i
braccianti avrebbero avuto la possibilit� di contrattare con i
proprietari. Questo meccanismo fu disinnescato dai
latifondisti, che si avvalevano di schiavi per il lavoro nei
campi. Gli schiavi sono sempre disponibili, non contrattano e
non fanno alzare i prezzi secondo le leggi di mercato. Con lo
schiavismo, il settore del cotone americano si � messo al
riparo dai rischi e dai costi della concorrenza.
Finito lo schiavismo, per
mandare avanti il lavoro nei campi, si prov� a addestrare delle
scimmie, che non mostrarono grande interesse per il lavoro, poi
si tent� di usare la lotta biologica (le oche) per diserbare,
ma questi animali calpestavano le preziose piantine. Alla fine,
in Texas, si usarono pi� macchine e meno uomini e, a partire
dal 1941, il governo s‘impegn� per fornire mano d'opera a
prezzo fisso, disponibile a richiesta e accuratamente
selezionata ai coltivatori di cotone: i messicani del Programma
Bracero, docili e disperati che, a differenza degli schiavi,
non necessitavano nemmeno di mantenimento nei momenti in cui
non c'era lavoro perch� se ne tornavano a casa propria. Il
Programma Bracero era nato per sopperire alla mancanza di mano
d'opera maschile in tempo di guerra, ma era talmente comodo che
i coltivatori riuscirono a farlo rinnovare fino al 1964.
Anche nella filatura e nel
confezionamento vi era una gran ricerca di forze lavoro docili
e disponibili, che fu soddisfatta da generazioni di ragazze in
fuga dalle campagne. Le pi� richieste erano le giovani madri di
famiglia, disposte a maggiori sacrifici pur di sfamare i figli.
Nelle filande e nelle fabbriche di tutto il mondo (Italia
compresa), furono loro a realizzare l'industrializzazione. Il
lavoro in fabbrica era talmente ambito, che lo si viet�
espressamente ad alcune classi sociali. Agli irlandesi era
vietato lavorare nelle fabbriche del New England e agli
afroamericani fu possibile lavorare nel settore tessile degli
Stati Uniti del Sud solo a partire dagli anni '60.
Gli industriali del cotone
sono riusciti a fare pressioni sul governo statunitense per
mantenere sia i sussidi e sia una politica estera
protezionistica. Questa politica protezionistica ha salvato
qualche posto di lavoro, ma � stata pagata sia in tasse,
necessarie per i sussidi, sia in maggiori prezzi al consumo
negli USA.
Oggi che le barriere
protezionistiche del tessile stanno lentamente cadendo,
guardando all'Africa, si scopre che l� si attua il commercio
dei mitumba, vale a dire degli abiti di seconda mano e questo
mercato � l'unico passaggio del cotone in cui s’incontra un
vero libero mercato. Qui non ci sono interessi di grandi gruppi
economici e, quindi, non vi sono misure politiche a distorcere
il mercato internazionale e locale. Finalmente si contratta sul
prezzo, si compete con la concorrenza, si corrono i rischi
d'impresa e si cerca di soddisfare la domanda, invece di
crearla con la pubblicit�.
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Sai distinguere un grillo da una cavalletta?
l’ordine
ORTOTTERI raggruppa grilli (ENSIFERI) e cavallette (CELIFERI),
insetti che si cibano di vegetali (litofagi), anche se alcune
specie sono carnivore, con apparato boccale di tipo
masticatore. Sono cattivi volatori (ad eccezione delle
locuste), e il volo si riduce a salti prolungati. Hanno ali
anteriori leggermente sclerificate che proteggono quelle
posteriori piuttosto robuste e zampe posteriori con femore e
tibia allungate e adattate al salto, ad eccezione del
“grillotalpa”, Gryllotalpa gryllotalpa, che ha zampe anteriori
adatte a scavare perch� vive sotto terra. Possiedono organi
uditivi, costituiti da sottili membrane situate alla base
dell’addome o sulle zampe anteriori.
Si
riconoscono per il canto, che � un attributo esclusivo dei
maschi nei grilli, mentre tra le cavallette in numerose specie
cantano anche le femmine. La stridulazione viene prodotta
sfregando il bordo delle tegmini nei grilli oppure il bordo
dell’ala sulle zampe posteriori nelle cavallette. I grilli
possiedono antenne lunghe e sottili e le femmine hanno un lungo
ovopositore (depongono le uova nel suolo o in fessure), mentre
le cavallette hanno antenne corte, appendici all’estremit�
dell’addome corte e l’ovopositore non � visibile.
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Gambero di fiume
AUSTROPOTAMOBIUS
PALLIPES � il nome latino del nostrano gambero di fiume, dalla
colorazione chiara del ventre in contrasto col resto del corpo
che si presenta bruno-rossiccio fino al verde scuro a volte con
tinte pi� chiare vicine al giallastro. E’ tozzo, robusto e pu�
raggiungere i 11-12 cm di lunghezza e i 90 grammi (maschi pi�
grandi delle femmine). Vive in
torrenti e ruscelli ossigenati, con letti
ghiaiosi o sabbiosi ma dotati di rive con anfratti e luoghi
sicuri per nascondersi. E’ un organismo
stenotermo freddo, predilige le acque fresche
sopportando al massimo la temperatura di 23�C, � tipicamente
notturno, si nutre di qualunque cosa: dalle
alghe alle piante acquatiche, dai
vermi, ai
molluschi, alle
larve di
insetti.
E’
aggressivo nella difesa del territorio e nelle lotte sessuali.
Si accoppia soprattutto nella stagione fredda, la femmina porta
sull'addome
per 5-6 mesi le
uova fecondate (circa un centinaio), prendendosene
cura, ventilandole e pulendole continuamente. In
Primavera esse schiudono ma le piccole larve
rimangono ancora per qualche tempo aggrappate al corpo materno.
I
gamberi di fiume devono continuamente sfuggire a numerosi
predatori che in particolare le
larve sono predate da altre larve come quelle dei
coleotteri idroadefaghi (che si nutrono in acqua)
come i
ditiscidi, o delle
libellule che allo stadio larvale possono predare
persino i piccoli gamberetti. Tra i
pesci predatori vanno ricordati la
trota, il
persico sole, il
persico trota, l'anguilla
ed il
cavedano, tra gli uccelli: i
corvi ed i trampolieri.
La
specie � diffusa in
Europa ed i fattori che pi� ne minacciano la
sopravvivenza nelle nostre acque sono: la presenza di
crostacei esotici (vale a dire non autoctoni)
introdotti dalle attivit� umane (sfuggiti da
allevamenti) ed in particolare il
orconectes limosus d’origine americana che ha una
lunghezza totale tra i sei ed i nove
cm con punte massime di undici. Questo gambero
alloctono � d’origine americana (costa est degli
Stati Uniti), si � diffuso rapidamente nei corsi
d'acqua nord europei ed in Italia � stato utilizzato nei fiumi
(Po
e zona
ferrarese) al fine di regolare la riproduzione di
siluri e altri pesci predatori. Questo gambero “americano o
californiano che dir si voglia” si nutre, infatti, di tutto
quello che trova sui fondali acquatici tra cui anche le
uova dai pesci, ha una riproduzione piuttosto veloce
e non richiede d’ambienti particolari, � facile trovarlo nelle
zone paludose o con acqua a lento scorrimento.
Entrambe
i gamberi sono in
competizione per le risorse ed il gambero
americano ha introdotto malattie per il gambero nostrano (fungo
Aphanomyces astaci che ha causato un'elevata moria
nell'Austropotamobius pallipes). Anche l'inquinamento
organico diminuisce il tenore di
ossigeno nelle acque, rendendo impossibile la
presenza del gambero nostrano che risente anche
dell’inquinamento inorganico dovuto principalmente ai
metalli pesanti contenuti negli
anticrittogamici.
La
sottospecie italiana Austropotamobius pallipes italicus � a
forte rischio di
estinzione ed in molte zone non � pi� stata
rintracciata. Ai fattori sopra elencati, si aggiunge quindi un
pericoloso frazionamento dell'areale e delle popolazioni che
potrebbe portare ad un indebolimento genetico e ad una rapida
estinzione sul nostro territorio.
Fino
agli anni 70 il gambero nei nostri corsi d’acqua era diffuso a
tal punto che lo stesso ha contribuito non poco a diversificare
l’alimentazione dei nostri nonni. Ve n’erano talmente tanti che
la loro cattura era affidata ai ragazzi e non succedeva mai che
il secchio non ritornasse colmo! Il nostro amico gambero
appartiene alla specie dei
crostacei assieme alla mazzancolle, alle aragoste, agli
scampi e ne fanno parte anche ragni, zecche, acari, scorpioni,
millepiedi e a molti altri animali.
Un
aspetto curioso da ricordare � la sua capacit�, in caso di
bisogno, d’autoamputare una delle sue chele che in un secondo
tempo l’animale sar� in grado di rigenerare nuovamente.
Cosa
possiamo fare per fermare le cause della sua rarefazione? Pi�
attenzione all’ambiente che ci circonda, limitare gli
inquinanti chimici in agricoltura (fosfati e nitrati sono
micidiali), dotare tutti gli insediamenti urbani di depuratori
degli scarichi fognari e, possibilmente, dare vita ad un serio
programma di ripopolamento con materiale assolutamente
autoctono.
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Anodonti, le nostre conchiglie di fiume.
Le
Anodonti sono molluschi (conchiglie) che vivono nei nostri
fiumi e canali, riconoscibili durante i periodi d’asciutta per
il guscio scuro e la scia di fango smosso che lasciano dietro
di se. I pescatori le conoscono bene e sanno che sono in
diminuzione, ma cerchiamo di capirne qualcosa in pi� di questi
abitanti dei nostri corsi d’acqua.
Queste
strane conchiglie, dalla forma di un sasso appiattito, in alcuni casi anche di dimensioni
interessanti (10-20 cm), sono un elemento importante
dell'ecosistema fluviale poich� servono da alimento a numerosi
animali e svolgono un lavoro di
filtrazione dell’acqua.
BIVALVI,
distinguiamo 4 sottordini:
1) Schizodonti;
2) Eterodonti
ffleterodonta;
3) Adapedonti;
4) Anomalodesmoidei.
Un totale di circa 17.000 specie.
Tra
gli Schizodonti d'acqua dolce troviamo la superfamiglia degli
UNIONOIDEI (Unionoidea), che presenta delle caratteristiche
molto particolari specialmente per quanto riguarda la
riproduzione. E’ interessante in questi Molluschi anche la
formazione di perle, che un tempo avevano importanza economica
e culturale.
Purtroppo
lo sfruttamento delle acque dei fiumi, l'inquinamento e la
diffusione di alcune specie ittiofaghe (aironi), hanno reso le
conchiglie rare o del tutto introvabili.
Esse
popolano le acque europee, ed � possibile trovare l'Unio
pictorum in fiumi, ruscelli e laghi, e l'Unio crassus, che
invece vive solo nelle acque correnti. Ognuna di tali specie
abita in regioni distinte e in ambienti diversi dando origine a varie sottospecie locali, che testimoniano della
gran capacit� d’adattamento e di trasformazione di questi
Bivalvi.
Molto
simile all'Unio crassus � l'Anodonta cygnaea, che
predilige acque pi� tranquille, e ha quindi il cardine privo di
denti (da cui il nome: senza denti). Le minuscole particelle in
sospensione di cui si ciba non le vengono di solito dall'acqua;
muovendosi e agitandosi il Bivalve smuove il fondo e fa alzare
nuvolette di fango che risucchia nella cavit� del mantello
ricavandone poi per filtraggio il cibo, costituito anche da
piccoli organismi contenuti nel terreno. Setacciando in tal
modo i fondali lascia dietro di s� solchi lunghi sino ad un
metro.
Ancor
pi� dell'Unio pictorum l'Anodonta cygnaea tende a sviluppare
sottospecie locali, conformi alle condizioni ambientali in cui
si trova a vivere; infatti, un tempo nella sola Europa centrale
vivevano 88 forme diverse, che per� risultarono appartenere
senza alcun dubbio a 2 sole specie ben distinte. E’
interessante notare che sia l'Anodonta cygnaea sia la
Pseudoanodonta complanata sono in grado di percepire i
movimenti, o meglio le ombre che scivolano sopra di se, quanto
pi� l'ombra � intensa, tanto pi� evidente � la reazione. Ci�
rappresenta un vantaggio non indifferente per il Mollusco,
giacch� un'ombra preannuncia spesso l'avvicinarsi di un nemico.
Per
i Bivalvi d'acqua dolce, la metamorfosi da uovo fino ad animale
adulto presenta notevoli differenze rispetto ai Bivalvi marini.
Le larve degli Unionoidei vivono da parassiti sui Pesci, e
nella struttura corporea hanno ben poco in comune con le forme
larvali dei Bivalvi marini. Le larve liberamente natanti
sarebbero facilmente trascinate dall'acqua corrente e
distrutte; pertanto i Bivalvi d'acqua dolce non depongono uova
n� larve nell'acqua. D'estate le uova non ancora fecondate sono
accumulate nelle fessure tra le branchie materne, che si
gonfiano notevolmente. Gli spermatozoi penetrano attraverso
l'apertura inalante, e la fecondazione ha luogo nelle branchie.
Qui si sviluppano le larve (circa 300.000 per ogni animale),
che sono liberate nella primavera successiva. Ad un primo
sguardo esse somigliano a piccoli Bivalvi, e solo un esame pi�
attento rivela che la loro struttura � totalmente differente da
quella dell'adulto.
Dopo
che le larve sono state espulse attraverso l'apertura esalante
dal corpo della madre, in un primo tempo formano sulla
superficie fangosa del fondo dei piccoli ammassi; non appena s'avvicina un Pesce, le valve munite d’uncino si aprono e si
chiudono come una tenaglia, e in tal modo la larva si fissa
sull'ospite. La piccola ferita provocata dalla larva nel corpo
del Pesce guarisce rapidamente; il glochidio � addirittura
incapsulato dai tessuti dell'ospite. Ora la larva inizia la sua
metamorfosi, e s� formano anche le valve della vera conchiglia.
Dopo 2-10 settimane la capsula scoppia, il Pesce, forse spinto
da una sensazione di prurito, si strofina contro piante
acquatiche o sassi ruvidi e si libera del Mollusco che cade al
suolo e inizia una nuova vita.
I
Bivalvi d'acqua dolce hanno una grande importanza per i nostri
corsi d'acqua. L'azione depurante della loro attivit� di
filtraggio � troppo spesso, sottovalutata, se pensiamo che ogni
individuo filtra attraverso gli appositi organi oltre 40 litri
d’acqua l’ora. Sterminare i molluschi di uno specchio d'acqua
significa comprometterne l'equilibrio biologico e,
indirettamente, le stesse condizioni vitali per noi uomini ne
sono pregiudicate, se � vero che la nostra salute dipende pur
sempre dalla purezza e dalla bont� dell'acqua potabile.
Foto
Ermete Pastorio:
Anodonte trovata in un canale a Fossalta di Piave (VE).
Si
ringrazia per la cortese collaborazione il personale della
biblioteca di San Don� di Piave.
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Addestramento cani
Per l'addestramento dei cani da caccia nella regione Veneto
vale la L. R. 50/93, art. 18 che autorizza l'allenamento e
l'addestramento dei cani dalla terza domenica d'agosto fino
alla seconda di settembre, di mercoled�, sabato e domenica,
dalle 6 alle 11 e dalle 16 alle 20, solo su terreni incolti,
boschivi di vecchio impianto, stoppie, prati naturali e di
leguminose non oltre 10 giorni dall'ultimo sfalcio (la legge
non dice nulla sul numero dei cani in addestramento). Alcune
limitazioni sono previste per i siti Natura 2000 (zone Z. p.
s., contrassegnate da tabelle marroni) e sono pubblicate come
allegato D al Bollettino Ufficiale della Regione Veneto, n. 4
del 9 gennaio 2007. Le limitazioni riguardano principalmente
l'orario della caccia vagante col cane ed i campi addestramento
cani.
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Garzetta schistacea
L’avvistamento di garzette dal piumaggio scuro (in Italia sono stati
segnalate almeno 50 osservazioni) � dovuta al fatto che delle
dodici specie di piccoli aironi del genere Egretta (garzette),
almeno cinque hanno piumaggio chiaro e scuro all’interno della
stessa popolazione.
Delle varie specie solamente due possono interessare marginalmente
l’Europa ma nel periodo giugno/luglio i giovani di nitticora
possono essere confusi con esse:
-
Garzetta schistacea
occidentale [Egretta (gularis) gularis]:
diffusa lungo le coste atlantiche dell’Africa, dal Gabon al
Banc d’Arguin in Mauritania.
-
Garzetta schistacea
orientale [Egretta (gularis) schistacea]:
nidificante lungo le coste del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano,
dalla Penisola Arabica ed Africa orient. all’India occ.
La Garzetta (Egretta garzetta) � uno degli aironi pi� diffusi
d’Europa, comune specialmente tutto attorno al bacino del
Mediterraneo; essa, inoltre, viene osservata con sempre maggior
frequenza a nord fino alle Isole Britanniche e Scandinavia
meridionale.
L’esistenza di un "morfismo" scuro nella Garzetta, per lungo
tempo ritenuta verosimile sulla base di osservazioni poco
circostanziate, sembra attualmente da escludersi con certezza.
Oltre il 95% delle segnalazioni europee di "garzette scure" sono state
compiute nel bacino Mediterraneo occidentale. La Garzetta
schistacea occidentale (gularis) � la garzetta esotica
osservata con maggior frequenza e regolarit� nel bacino del
Mediterraneo. La Garzetta schistacea orientale (schistacea)
� irregolarmente osservata nell’Europa sud-occidentale.
La Garzetta schistacea occidentale (gularis) � piuttosto
variabile dal punto di vista delle dimensioni; alcuni
esemplari, infatti, sono chiaramente pi� piccoli della maggior
parte di garzetta, mentre altri individui, al contrario,
sono nettamente pi� grandi e massicci. Anche dal punto di vista
strutturale, questa forma presenta una certa variabilit�: in
effetti, la letteratura ornitologica attribuisce alla tipica
gularis una struttura leggermente pi� massiccia della
cugina europea, con becco pi� spesso alla base e a forma di
"coltello" (con margine inferiore pi� o meno rettilineo e
margine superiore arcuato verso la punta) e zampe mediamente
pi� corte o robuste (specialmente il tarso).
La Garzetta schistacea orientale (schistacea) risulta, invece,
mediamente pi� grande di garzetta e della maggior parte
di gularis. Essa, inoltre, appare ben differenziata
strutturalmente, essendo pi� massiccia e goffa delle altre
forme.
L’adulto della Garzetta schistacea occidentale (gularis) �
uniformemente grigio-ardesia scuro, tanto da sembrare nerastro
in luce radente, ma con tinte metalliche blu o verdastre su
testa e parti superiori, e bruno-violacee sulle parti
inferiori. Il giovane, invece, � grigio-brunastro, con
sfumature violacee pi� o meno intense, generalmente pi� smorto,
opaco e chiaro dell’adulto. E’ sempre presente una chiazza
bianca su mento, gola ed estrema parte superiore del collo.
L’adulto di Garzetta schistacea orientale (schistacea) si
presenta uniformemente grigio-lavanda, con un’evidente
componente cerulea o bluastra, colorazione solitamente pi�
chiara e vivace che in gularis; raramente, alcuni
individui si presentano pi� scuri, specialmente in luce
radente, ma sempre fortemente sfumati di blu ultramarino. Il
piumaggio del giovane in morfismo scuro �, rispetto a quello
dell’adulto, pi� chiaro. La macchia bianca sulla gola �
mediamente pi� estesa che in gularis, soprattutto lungo
la parte anteriore del collo, e pu� presentare i bordi sfumati
ed irregolari nel piumaggio giovanile.
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I veleni
nei nostri giardini
Nei nostri orti o giardini vi sono piante
estremamente pericolose per le persone e per i nostri amici
animali. I cuccioli hanno l'abitudine di correre, saltare e
morsicare un po’ tutto, scarpe, giochi, piante e foglie. Alcune
di queste piante sono estremamente velenose, ma, fatto ancora
pi� grave, anche i bambini piccoli hanno l'abitudine di mettere
in bocca cose o oggetti vari che si trovano a portata di mano.
Impariamo a conoscere questi veleni domestici.
Pianta |
Componente velenosa |
Conseguenze |
Giacinto |
Bulbo |
Nausea, vomito. Pu� essere
mortale. |
Narciso |
Bulbo |
Nausea, vomito. Pu� essere mortale. |
Oleandro |
Foglie, rami |
Molto velenoso,
mortale anche per l'uomo |
Digitale |
Foglie |
Pu� essere mortale se
ingerita in grandi quantit� |
Rabarbaro |
Foglie |
Mortale |
Alloro |
Bacche |
Mortale, per uccidere un
cucciolo bastano poche bacche |
Azalea e rododendro |
Tutte le componenti |
Mortale |
Gelsomino |
Bacche |
Mortale |
Tasso |
Bacche e fronde |
Mortale, il verde � pi�
velenoso delle bacche; causa morte improvvisa senza
evidenti sintomi. |
Pomodoro |
Foglie |
Disturbi vari, mortale senza
consulto medico immediato |
Ginestra |
Fiori |
Bruciore di bocca e budella.
Vomito. |
Edera |
Foglie e bacche |
Mortale |
Elledoro |
Intera pianta |
Molto
tossica |
Ficus |
Foglie e fusto |
Tossica
in particolare per gli animali |
Filodendro |
Foglie e fusto |
Tossica:
edema, stomatite, vesciche sulla cute e reni |
Giglio |
Foglie e bulbo |
Negli
animali: apatia, vomito |
Glicine |
Semi |
Causa
vomito, diarrea e dolori addominali |
Iris |
Bulbi |
Sintomatologia gastroenterica |
Mimosa giapponese |
Semi |
Vomito,
diarrea, convulsioni |
Monstera |
Foglie e steli |
Dermatiti,
gengiviti, ipersalivazione, vomito |
Mughetto |
Tutto |
Molto
velenosa |
Ornitogalo |
Bulbo |
Vomito,
apatia, insufficienza renale |
Stella di Natale |
Foglie |
A contatto
con gli occhi causa lacrimazione. Se ingerite causano
diarrea, vomito. |
Solano |
Bacche |
Gastoenterite emorragica |
Spatifillo |
Foglie |
Emorragie e
disturbi respiratori |
Tulipano |
Bulbi |
Gastroenterite leggera (animali) |
Vischio |
Bacche |
Tossiche,
vomito, disturbi neurologici, morte (animali). |
Un discorso a parte
merita lo Stramonio, conosciuto come erba del diavolo o erba
delle streghe. Aprendo il giornale il 5 novembre scorso m'� capitato
di leggere che a Treviso, due 15enni, sono finiti all'ospedale
per aver "fumato" alcuni semi di stramonio. Sappiamo bene
quanto possano essere ingenui i giovani nelle loro "attivit�
ludiche", ma arrivare a fumare semi di stramonio ha
dell'assurdo. La Datura stramonium non � l'hashish e nemmeno la
marjuana, si tratta di una pianta velenosissima, i cui effetti
sono amplificati dall'assunzione di alcool. I due ragazzi trevisani sono stati ricoverati in preda a convulsioni ed in
effetti, la potente combinazione degli agenti tossici presente
nei semi della pianta di stramonio, pu� portare alla paralisi
della muscolatura respiratoria, al coma e alla morte (niente
male per uno spinello). Ad oggi lo stramonio, nonostante la sua
evidente tossicit�, incredibilmente non � ancora inserito nella
tabella degli stupefacenti. Si tratta di una pianta presente un
po' ovunque: negli incolti, vicino ai margini delle strade e
presso i ruderi. In passato le sue propriet� narcotiche erano
utilizzate da stregoni o sciamani per rituali magico-spirituali
e nella magia nera per fare ammalare gravemente le persone a
cui era destinata. L'aspetto tragi-comico della faccenda e che,
secondo gli addetti ai lavori, i ragazzi conoscono gli effetti
narcotici e non conoscono, o fanno finta di non conoscere, gli
effetti pericolosamente tossici della pianta. La casistica
riporta il decesso di tre giovani in Francia nel 1992 e di uno
in Svizzera nel 1998. In tempi pi� recenti uno studente di
giurisprudenza dell'universit� di Ferrara � finito in coma dopo
essersi mangiato una bistecca cosparsa di semi di stramonio.
Top
Le tartarughe dalle orecchie rosse
Classificazione
Classe: Reptilia (Rettili)
Sottoclasse: Anapsida
Ordine: Testudines
Sottordine: Cryptodira
Superfamiglia: Testudinoidea
Famiglia: Emydidae
Sottofamiglia: Emydinae
Genere: Trachemys (7 specie)
Specie: scripta (12 sottospecie)
Sottospecie: elegans
Le tartarughe dalle orecchie rosse
arrivano degli Stati Uniti (sicuramente non a nuoto). La
tartaruga dalle orecchie rosse ha due macchie rosse ai lati del
muso, vive principalmente negli stati sud-orientali. In
cattivit�, se ben accudite, possono vivere anche oltre 30 anni.
Vivono in acqua dolce, hanno il carapace di forma ovale e di
colore verde che si scurisce con l'et�, fino a diventare quasi
nero. Il piastrone sotto e' di colore giallo, con macchie nere,
ed � unito al carapace lungo i margini laterali. Da adulte le
femmine arrivano a misurare fino a 30 cm circa, mentre i
maschi, di solito, sono pi� piccoli (circa 16 cm), hanno il
piastrone concavo e le unghie e la coda pi� lunghe. La pelle e'
verde con strisce gialle.
Diventano sessualmente mature attorno ai 5-7 anni per le
femmine e 2-5 anni per i maschi.
Sono timide, al minimo segno di pericolo, si immergono in
acqua, per nascondersi e cercare riparo, ma sono anche molto
curiose. Nel corso degli anni di convivenza con l'uomo possono
anche prendere confidenza con quest'ultimo fino a non fuggirne
pi�, ma faticano ad accettare la convivenza e ci� rivela come
le tartarughe non siano animali domestici.
La Trachemys scripta e' un animale diurno. Vive in acque ferme
o poco mosse come stagni, laghi, paludi, fiumi tranquilli con
piante acquatiche e fondali fangosi che permettano di
nascondersi e riposare.
Trascorre la maggior parte della vita in acqua. Tuttavia, ha
bisogno anche di posti asciutti e di molto sole, che �
indispensabile per il carapace.
Le Trachemys sono attive ad una temperatura compresa tra 10� e
37�C. Sotto i 10�C vanno in letargo, sott'acqua, nascoste tra
il fango.
L'alimentazione e' costituita da pesci, insetti, piante
acquatiche.
L'Unione Europea con il regolamento n.338/97 vieta
l'importazione di Trachemys scripta elegans, a causa
dell'impatto sulle specie locali.
Non va assolutamente gettata in un fiume o in uno stagno,
poich� altera l’equilibrio delle specie autoctone. Nel caso non
ci si possa pi� occupare di lei occorre contattare le
associazioni protezionistiche o gli acquari pubblici per sapere
come comportarti correttamente.
Ogni anno importiamo in Italia pi� di 900.000
tartarughe dalle orecchie rosse neonate, lunghe solo tre
centimetri.
Tutti i genitori di questi piccoli rettili sono stati catturati
in natura e trasportati in stagni artificiali, dove si
riproducono e muoiono dopo pochi anni.
I piccoli nati sono stipati a centinaia in piccole scatole e
spediti in tutto il mondo.
La maggior parte di loro, una volta giunta nelle nostre case,
finisce rinchiusa in piccole vaschette, in condizioni di luce,
temperatura e alimentazione inadeguate, morendo di stress o
malattie dopo pochi mesi.
Quelle poche tartarughe che invece riescono a sopravvivere
crescono fino alle dimensioni di 16/30 cm, ed a questo punto
molti animali diventano scomodi e sono abbandonati nei fiumi e
negli stagni, con gravi conseguenze per loro stessi e per gli
altri animali che popolano i nostri corsi d'acqua, infatti
nutrendosi di piccoli pesci, rane o girini, possono anche
distruggere il delicato equilibrio dell’ecosistema in cui
vengono “gettate”.
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Capriolo o unicorno?
La notizia � che hanno avvistato
un capriolo con un solo corno ed � stato detto che ci�
spiegherebbe la leggenda dell'unicorno. Leggende a parte, il
fatto che un cervide (caprioli, cervi e daini sono cervidi) si
presenti con un solo corno � un fatto naturale dovuto ad una
menomazione a livello di testicoli. Nei cervidi solo i maschi
portano il palco (corni) e solo nel periodo degli amori, il
palco cade alla fine del periodo e ricrescer� l'anno prossimo.
Diversamente avviene per i bovidi (camoscio, stambecco,
muflone, ecc,), a loro il palco cresce per tutta la vita ed, in
misura minore, anche alla femmine. Il palco serve per difendere
il territorio, o l'harem, e per dimostrare alle femmine la propria capacit�
riproduttiva. Se a causa di un incidente (per esempio saltando
un reticolato) un cervide perde un
testicolo, non gli ricrescer� pi� uno dei due corni, ed
esattamente se perde il testicolo di dx non gli crescer� pi� il
corno di sx e viceversa. Il capriolo che � stato avvistato ha
un solo corno ed � giovane, quindi, l'unico corno si presenta
con una sola stanga come nei fusoni. Dopo la stagione degli
amori il corno cadr� e ricrescer� l'anno prossimo, ma con due
(forse tre) punte e quindi perder� la somiglianza col mitico
unicorno. In natura questi animali che hanno problemi
riproduttivi sono emarginati dagli altri simili e diventano
facilmente predabili. Questo � il motivo per cui nella caccia
di selezione sono abbattuti per primi proprio i capi che si
presentano con problemi o anomalie (con un solo corno, parruccati, albini,
ecc.). I selecacciatori si sostituiscono ai predatori naturali
(che oggi sono scomparsi) ed abbattendo i capi peggiori si
ottiene, nel lungo periodo, un miglioramento della razza, come
avviene gi� da decenni in altri paesi europei.
Il palco dei cervidi e formato da osso ed �
pieno all'interno mentre i corni dei bovidi sono formati dalla
stessa sostanza delle unghie e sono cavi all'interno.
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10 modi per distruggere la propria
associazione
(tratto dalla rivista "Marinai
d'Italia").
1) Non frequentare la sede;
2) Frequentarla ma solo per criticare e per creare problemi;
3) Rifiutarsi di assumere incarichi;
4) Offendersi per non essere stati prescelti o per non avere
avuto incarichi;
5) Dopo avere ricevuto un incarico non partecipare alle
riunioni;
6) Oppure partecipare senza aprire bocca se non dopo la
conclusione della seduta per criticare o per dire come
sarebbero dovute essere fatte le cose;
7) Non collaborare ad alcuna attivit�, evitare accuratamente
ogni impegno, criticare i volonterosi che si danno da fare;
8) Opporsi ad ogni nuovo programma, ad ogni iniziativa con la
scusa che le iniziative gravano inutilmente sul bilancio;
9) Se nessuna iniziativa � stata assunta accusare i dirigenti
di scarsa iniziativa;
10) Leggere il giornale sociale e gli avvisi solo
occasionalmente e poi lagnarsi di non essere tenuto al corrente
sulle novit� dell’associazione.
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La verit�
sull'innevamento artificiale delle piste da sci.
L’innevamento
artificiale � iniziato negli Anni 50 in USA, circa 20 anni dopo
� arrivato Europa e verso gli anni 80 ha avuto gran diffusione
anche grazie alle scarse precipitazioni nevose. Serviva ad
integrare la neve naturale mentre oggi � esattamente in
contrario. Con la neve artificiale � cambiato il modo di sciare
(gli sciatori conoscono la differenza) ed � anche cambiata la
stagione sciistica. Per produrre la neve artificiale servono
macchinari ed ingenti quantitativi d’energia oltre che
acqua ed aria (per questioni d’immagine si chiama la neve
artificiale “programmata”), servono dei nebulizzatori
per spargere nell’aria le finissime gocce d’acqua, ma non solo,
servono anche temperature di almeno -4 gradi, umidit� inferiore
all’80%, e temperatura dell’acqua non superiore ai 2 gradi. Con
temperature superiori l'innevamento rischia di diventare
antieconomico (per questo motivo sempre pi� spesso si utilizzano
additivi chimici che incidono sulla temperatura alla quale
l'acqua passa allo stato solido).
La neve artificiale � prodotta
tramite cannoni ad aria compressa o con cannoni ad elica. Nel
primo caso l'aria compressa � alimentata tramite dei tubi, nel
secondo la corrente d'aria � prodotta da un'elica che necessit�
d� corrente elettrica. L’impiego dell'una o dell'altra tecnica �
in funzione delle condizioni locali e ci� che si vede sulle piste
sono solamente gli innevatori (e al limite i punti di prelievo
dell'acqua); in realt� il sistema per la produzione di neve
artificiale richiede anche un sistema di captazione dell'acqua,
punti di prelievo, serbatoi, pompe, tubazioni (per acqua e aria
compressa), compressori, impianti d’alimentazione, cavi interrati
e un sistema di controllo.
L’acqua � la risorsa principale. Con 1.000 litri (1 m3) si
riescono a produrre da 2 a 2,5 metri cubi d� neve. Per realizzare
l'innevamento di base (30 cm) per una pista d� un ettaro di
superficie occorre almeno un milione di litri d'acqua (mille
metri cubi). Si calcola che per innevare un ettaro di pista per
tutta la stagione occorrano 4.000 metri cubi d’acqua. Ne consegue
che per innevare i quasi 24.000 ettari di piste innevabili delle
Alpi se ne vanno poco meno di 100 milioni di metri cubi d’acqua a
stagione. L’acqua � prelevata da torrenti, sorgenti o dalla
stessa rete dell'acqua potabile in un periodo - da novembre a
febbraio - tra l'altro di scarsit� e di magra. Per questo motivo,
oltre che per la necessit� di avere ingenti quantitativi d'acqua
in tempi brevi, viene sempre pi� spesso perseguita la via degli
invasi di raccolta.
Oltre all'acqua occorrono notevoli quantit� d’energia. Il consumo
energetico dipende da fattori quali l'ubicazione delle piste, la
tipologia d’impianto, l'approvvigionamento idrico e le condizioni
climatiche. Ultimamente i modelli di cannoni da neve hanno
migliorato la loro efficienza, ma � anche vero che � aumentato in
modo esponenziale il numero d’impianti. Sulle Alpi francesi, e
sulla base dei consumi energetici relativi alla stagione
2001-2002, si � stimato un consumo energetico pari a circa 25.000
kWh per ettaro di pista. Applicando questo valore all'intero
sistema di piste innevate artificialmente di tutto l'arco alpino
(circa 24.000 ettari) si avrebbero 600 milioni di kWh che �
all'incirca il consumo annuo d’energia elettrica d� 130.000
famiglie. Nelle Alpi le piste innevabili artificialmente sono il
27% del totale (anche se oltre il 90% delle stazioni sciistiche
pi� grandi ha impianti per l'innevamento artificiale); i paesi
con la maggior quantit� di piste innevabili sono Austria ed
Italia (con circa 40% del totale). Nell'arco alpino il primato
assoluto spetta alla Provincia di Bolzano che "vanta" l'80 %
delle piste innevabili artificialmente.
La tendenza � per una
generale crescita: tra il 1997 ed il 2002 in Francia, la
superficie innevabile � aumentata dei 60%, in Svizzera �
raddoppiata e in Germania � aumentata del 140%. Difficile
prevedere dove si possa arrivare, tuttavia in Alto Adige o in Val
d'Is�re sono molti i comprensori sciistici in grado d’innevare
artificialmente la totalit� delle piste. A destare
preoccupazione, pi� che l'aumento delle superfici innevabili, �
l'espansione verso l'alto, ossia l'aumento di superfici
innevabili a quote sensibili dal punto di vista ecologico. Gi�
oggi vengono innevate parti d’alcuni ghiacciai.
Dal punto di vista economico la neve artificiale ha costi ingenti
sia in termini d’investimento che di gestione. Si calcola che in
Svizzera per un chilometro d� pista innevabile occorra un
investimento di circa 650.000 euro e costi di gestione di circa
33.000 euro (con un differenza irrisoria tra un inverno normale e
uno con scarsit� di precipitazioni). Chi si assume questi costi?
Dato che spesso i comuni sono comproprietari delle imprese che
gestiscono gli impianti e che di solito gli enti locali (con modi
diversi secondo i paesi) partecipano alla ripartizione dei costi,
� difficile capire chi e in che misura paga. Sono tra l’altro
notevoli le pressioni sulle pubbliche amministrazioni affinch�
aumentino il loro apporto finanziario. Tra le prime conseguenze
dei costi elevati � da citare il rincaro degli skipass, che
causer� la fine dell'epopea dello sci inteso come "sport
popolare".
Veniamo agli effetti sull'ambiente. Innanzitutto va
considerata l'elevata necessit� d’infrastrutture (posa di
tubazioni per acqua, aria, cavi, stazioni di pompaggio), e
l'utilizzo di macchinari pesanti che possono incidere sui
delicati ecosistemi montani. Questi interventi vanno a sommarsi a
quelli che permettono di realizzare le piste. Non ci
sono studi sul lungo periodo in merito agli effetti della neve
artificiale sulla vegetazione e la flora, tuttavia, il fatto che
sulle piste innevate artificialmente la neve resista pi� a lungo,
che la pressione esercitata dalla stessa neve, sia maggiore
(contiene pi� acqua, quindi pesa di pi�), che l'acqua con la
quale si produce la neve contenga pi� minerali e sostanze
nutritive, provoca alterazioni del manto vegetativo.
Capitolo a parte meriterebbero gli effetti dell'impiego
d’additivi chimici o di microrganismi che consentono la
formazione di neve a temperature pi� elevate. L’acqua prelevata
da sorgenti, ruscelli, dalla falda o dalla rete idrica potabile
nel periodo invernale incide per quantit� e intensit� di prelievo
sul bilancio idrico in periodi di scarsit� d’acqua. Per contro,
in primavera, in occasione dello scioglimento, si pu� avere un
eccessivo scorrimento dell'acqua sulle piste.
A tutto questo va aggiunto il
rumore e l'inquinamento luminoso. Il rumore dei cannoni da neve,
soprattutto di notte e nelle valli strette, � udibile a lunghe
distanze; la luce ed il rumore degli impianti d’innevamento
possono essere di disturbo per l'uomo e per gli animali. A
corollario di quanto detto occorre infine considerare il contesto
dei cambiamento climatico in atto e le sue conseguenze sulla
pratica degli sport della neve.
E’ in corso un aumento delle
temperature del pianeta e le Alpi sono particolarmente sensibili
a questo cambiamento. AD ogni aumento di 1 gc della temperatura
corrisponde un innalzamento di circa 150 metri dello zero termico. Ci�
comporta un pi� rapido scioglimento delle nevi e dei ghiacciai, ma soprattutto si riduce
il numero delle giornate di neve certa. Secondo studi
attendibili, nelle Alpi meridionali francesi tra qualche tempo
non esisteranno pi� localit� con neve certa, mentre nelle Alpi
svizzere e austriache avranno neve certa soltanto le localit� al
di sopra dei 1600-2000 metri. Discorso analogo per le Alpi
italiane. Un futuro con ancora pi� neve artificiale quindi, con
la conseguente scomparsa delle stazioni sciistiche a quote medio-basse.
Il destino delle localit� turistiche alpine non pu� essere legato
unicamente alla pratica dello sci, e non soltanto in
ragione dei cambiamenti climatici, ma anche a causa
dell'invecchiamento della popolazione europea e della concorrenza
da parte delle localit� esotiche rispetto alle classiche
settimane bianche. Lo sci � minacciato da limiti finanziari,
ecologici e culturali: i cannoni da neve non sembrano in grado di
risolvere questi problemi, ma casomai li amplificano. Gi� oggi in
alcune localit� turistiche invernali alpine la maggior parte
degli ospiti non pratica lo sci di pista, ma predilige le
escursioni, le passeggiate, la cultura, il relax o
l'enogastronomia. Elementi questi ultimi che necessitano di un
ambiente intatto, d’originalit� e genuinit� del paesaggio. In
futuro, soprattutto per le localit� dove la neve naturale verr�
sempre meno, sar� quindi indispensabile diversificare l'offerta
turistica.
Fonte di questo e di altri articoli:
piemonte.parchi@regione.piemonte.it
Piemonte Parchi � un mensile molto
interessante e ben fatto, pubblicato dalla Regione Piemonte. La
Scuola Faunistica Veneta ha donato un abbonamento per questo
mensile al Centro Trasfusionale di San Don� di Piave. La
speranza � che i donatori che vi si recano per donare il sangue
possano ingannare l'attesa con una lettura interessante
(anzich� le solite riviste vecchiotte). Loretta Nonnato, un'Avisina.
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Energie rinnovabili e
ambiente
Rischio black
out e siccit�, stati d’emergenza, eventi eccezionali, la
preoccupazione per il global warming non accenna a placarsi. Il
riscaldamento del clima � fra i temi d'attualit� pi� discussi a
livello mondiale. Stampa e tiv� spaziano dal catastrofismo di
fenomeni fuori dell’ordinario come nubifragi e inondazioni,
all'allarme per anomalie botaniche fuori stagione, assenze di
nevicate e temperature da record. Le agenzie governative di paesi
avanzati come gli Stati Uniti o in via di rapido sviluppo come la
Cina e l'india, minimizzano le responsabilit� delle centrali
termoelettriche all'inquinamento atmosferico, mentre altri
esperti mostrano le correlazioni tra i cambiamenti climatici e
l'attuale modello di sviluppo, basato su un consumo d’energia in
continua crescita.
Le fonti energetiche e il loro approvvigionamento, sembra questo
il nocciolo del problema. Se in passato la vita della gente
dipendeva, essenzialmente dalle produzioni agricole, le attuali
societ� industriali e post-industriali solo con l'impiego
d’energia, ricavata prevalentemente dalla combustione dei
carburanti fossili come petrolio, metano e carbone. Immaginate
per un momento che premendo l'interruttore non si accenda pi� la
luce d� casa, che non arrivi pi� gas alla caldaia, che le pompe
di carburante siano a secco. Le conseguenze sarebbero
inimmaginabili perch� senza energia si ferma tutto: gli
ascensori, gli elettrodomestici, i treni, le auto, il
rifornimento delle derrate alimentari, la refrigerazione, il
riscaldamento, la distribuzione delle merci e le fabbriche.
I gas che producono l’effetto serra sono: il vapore acqueo,
l’anidride carbonica, il metano, il biossido d’azoto e ozono.
Questi gas sono prodotti sia da fenomeni naturali e sia dalla
trasformazione dei combustibili fossili (petrolio e carbone) in
energia. Sappiamo che la temperatura complessiva � aumentata (da
0,4 a 0,8 gradi) e che la maggior parte di ci� � attribuibile
alle attivit� umane, ma le previsioni statistiche prevedono per i
prossimi venti anni un incremento dell’utilizzo delle fonti
rinnovabili, almeno fino ad un 20% (non molto a dire il vero). I
vantaggi sull’utilizzo delle fonti rinnovabili sono enormi ed
irrinunciabili: costo zero delle materie prime e nessun
inquinamento atmosferico.
SOLARE. Fonte potentissima, il solare � per� discontinuo. Si
sfrutta con pannelli solari che producono acqua calda utile per
usi domestici, m � attualmente antieconomico per la produzione
d’energia elettrica. In Italia esiste una centrale solare alle
falde dell’Etna, ma dopo una lunga fase sperimentale, attualmente
non � utilizzata. Attualmente � in fase d’attivazione una nuova
centrarle solare in Sicilia che secondo Carlo Rubbia � pi�
economicamente interessante delle centrali e cellule
fotovoltaiche. Si basa su un complesso sistema di specchi e avr�
una potenza di 20 megawatt.
FOTOVOLTAICO. Di realizzazione pi� facile, ma pi� costoso ed a
bassa efficienza. Si presenta come un pannello solare, �
costituito da una superficie di silicio ma solo il 18%
dell’energia dei raggi solari � trasformata in energia. Per
sopperire al fabbisogno dell’Italia servirebbe un pannello solare
grande come l’Umbria. Un pannello fotovoltaico da 1 chilowatt
misura 8 mq, costa circa 7000 €, e soddisfa circa il 40% del
fabbisogno di una famiglia. Considerato il risparmio sull’energia
e gli incentivi statali la spesa pu� essere recuperata in 10/11
anni.
EOLICO. Assomigliano ben poco agli antichi mulini, sono enormi
torri, alte anche 80 metri, che ricavano dalla forza del vento
energia elettrica. Hanno una potenza di circa mezzo chilowatt,
quindi n’occorrono 200 per produrre 1000 megawatt (pari ad una
media centrale termoelettrica). Sono accusati di offendere il
territorio e la sensibilit� ambientale delle comunit� ove sono
collocati. Inquinamento acustico e problemi causati alla fauna
selvatica sono i motivi fondamentali delle opposizioni. Alcune
nazioni del nord Europa hanno collocato questi giganti nel mezzo
del mare, ma ovviamente questa soluzione non � praticabile in
Italia a causa delle profondit� dei mari Ligure, Tirreno e Ionio
e per la scarsa ventosit� (costante) dell’Adriatico. Tra le fonti
rinnovabili, l’energia eolica sembra la strada che molti paesi
preferiscono prendere per motivi pratici e perch� vince il
rapporto costi/benefici rispetto alle altre fonti. Alcune stime
danno una produzione di 300 gigawatt nel 2030 prodotto nel Mare
del Nord. Una curiosit�: l’energia eolica pare essere la pi�
pulita ma � anche la pi� contrastata dagli ambientalisti.
IDROGENO. Abbondantissimo in natura combinato ad altri elementi,
ma scarsissimo allo stato puro. Per essere utilizzabile deve
prima essere separato dagli altri elementi con procedimenti che
richiedono consumo d’energia a loro volta. Una volta prodotto si
conserva e si trasporta in forma liquida, gassosa o ad
assorbimento e quindi con difficolt� e pericolo poich� �
infiammabile ed esplosivo.
E. P.
Fonte: Piemonte Parchi.
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La
foca monaca: vittima del turismo e del progresso.
Forse un tempo, molto lontano, erano abbastanza frequenti gli
incontri con la foca monaca che nuotava libera nel mare. Forse
era proprio la sensuale, misteriosa sirena di cui parlavano i
naviganti. Della quasi estinta �foca monaca", oggi esistono
pochissimi esemplari nel mediterraneo e gli avvistamenti sono
talmente rari che quando n’� individuata una il fatto diventa di
gran portata per biologi e ricercatori. Conosciuta anche col nome
di bue marino, � un mammifero molto intelligente, che a causa
delle attivit� umane � stata condannato all’estinzione. Un tempo
popolava l’intero Mediterraneo, dalle coste africane, all’Egeo ed
alle isole centrali, ma l’escalation delle situazioni inquinanti,
il turismo di massa ed una pesca meccanizzata ne hanno sterminato
la specie. Si stima che oggi sopravvivano dai 300 ai 400
esemplari, 150-200 nell’Egeo, un paio di dozzine nel Mediterraneo
occidentale, una decina nel Mar Nero e 130 in Atlantico sulle
Coste della Mauritania. In Italia nelle coste tradizionalmente
frequentate dalle foche oggi non si conoscono pi� nuclei
produttivi, tanto che la specie � stata dichiarata estinta nelle
acque italiane. Solo sporadici avvistamenti e molte speranze d i
un ritorno nelle localit� storiche come il Golfo di Orosei e
nelle Egadi.
L'esistenza riservata di cui hanno bisogno questi animali per
vivere non concorda con la politica "turistica" sostenuta per le
note esigenze economiche. Le foche monache hanno dovuto cos�
adattarsi a divenire delle cavernicole per sopravvivere,
attitudine non proprio consona ad una specie abituata alla
libert� nei mari.
La foca monaca (Monachus monachus) della famiglia Focidi, � un
mammifero che pu� arrivare ad una lunghezza di circa tre metri e
a quattrocento chilogrammi di peso circa. Il suo colore d� sul
marrone-grigio sul dorso, mentre � pi� chiaro sul ventre,
chiazzato di macchie biancastre. Le punte del pelo foltissimo
tendono al giallastro, soprattutto negli esemplari pi� anziani.
La foca monaca � quasi priva di sottopelo, al contrario delle
foche che vivono nei mari freddi. Si ciba esclusivamente di pesce
azzurro e, per tale motivo, incappa spesso nelle reti da posta
dislocate in gran quantit� nel nostri mari.
Il suo habitat � ormai quasi esclusivamente quello delle acque
costiere nei pressi delle coste rocciose e inaccessibili, ove
esistono grotte sommerse e caverne nelle quali riesce a partorire
e ad allevare i cuccioli. E’ una specie dichiarata in estinzione
e perci� � protetta dalle leggi in materia di tutti i Paesi
mediterranei.
E. P.
Fonte: Piemonte Parchi.
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Le Vipere in Italia
Tutti i serpenti, ed in
particolare le vipere, hanno sempre creato impressione, un
senso di ribrezzo o di paura e di pericolo nella persone.
Per razionalizzare la paura
occorre una migliore conoscenza dei retti in generale e delle
vipere in particolare. Opportuni metodi di difesa e modi
comportamentali adeguati, possono sicuramente prevenire il
pericolo di un contatto ravvicinato con questi animali a sangue
freddo.
In Italia si possono trovare
23 specie di serpenti, ma soltanto 4 specie di vipere
velenose o potenzialmente pericolose (esclusa la Sardegna dove
e vipere non sono presenti):
1) Aspide (o vipera aspis)
� la pi� diffusa e provoca il maggior numero di casi di
avvelenamenti. Si pu� trovare in tutte le regioni (esclusa la
Sardegna) e vive sia in pianura che in montagna fino ad una
altitudine superiore ai 2500m.
2) La Vipera del Corno (o
vipera Ammodytes) si pu� trovare in Friuli (Carnia) in alcune
localit� alpine e prealpine del Trentino e del Veneto, nelle
zone aride e pietrose, con scarsa vegetazione, in genere a
bassa altitudine, ma pi� raramente si pu� trovare anche sui
monti fino ad un'altitudine di 2000 m. E’ riconoscibile per il
cornetto sulla punta del muso. Si tratta della vipera
potenzialmente pi� pericolosa delle italiane poich�, a
differenza delle altre essa conserva i riflessi anche durante
la digestione.
3) Il Marasso Palustre (o
vipera berus) � presente in tutte le regioni alpine e
prealpine, fino ai 3000 m., ma anche nelle zone pianeggianti
umide e paludose.
4) La Vipera dell'Orsini
(o vipera Ursinii) � la pi� piccola ed innocua delle vipere
italiane ed � diffusa nell'Appennino Abruzzese e
Umbro-Marchigiano dai 1400 ai 2000 m, si nutre principalmente
di cavallette.
Tutte le vipere sono
riconoscibili, a colpo d’occhio, per la testa, di forma
triangolare e a punta, il corpo tozzo ed una coda corta e
rastremata. Un'altra caratteristica che distingue le vipere
(italiane) dai serpenti sono gli occhi con le pupille verticali
(come i gatti), mentre le innocue bisce hanno la pupilla
rotonda.
Le vipere italiane sono
"pacifiche" e sicuramente preferiscono scappare (quando
possono); il morso � mortale in
rarissimi casi (soggetti a rischio sono anziani,
bambini o persone debilitate), bisogna evitare la
somministrazione di siero (immunoglobuline di origine equina)
al di fuori di un ambiente ospedaliero per il rischio di shock
anafilattico, in quanto pi� pericoloso del morso stesso della
vipera. Molto dipende dalla quantit� di veleno che viene
iniettata (ad es. se la vipera ha morso poco prima un topo, la
sua ghiandola velenifera sar� quasi vuota, oppure se � molto
piccola, la quantit� di veleno contenuta nella ghiandola sar�
ridotta), dalla zona del morso (molto pericolosi i morsi nella
zona del collo e della testa).
Le vipere possiedono una
ghiandola situata nella regione posteriore e laterale del capo
che produce un veleno formato da un'alta percentuale d'acqua,
diverse albumine ad alta tossicit� e altre proteine enzimatiche
che agiscono sui tessuti, sulla coagulazione del sangue e, a
volte, sul sistema nervoso. Per inoculare questo veleno
utilizzano delle lunghe zanne mobili canalicolate che, quando
il serpente apre la bocca, formano un angolo di 90� con la
mascella ed in caso di morso penetrano nella cute della preda e
iniettano il veleno attraverso i canali; quando chiudono la
bocca le zanne vengono ruotate contro il palato.
Le vipere ed i serpenti in genere
si nutrono di piccoli animali che inghiottono interi, le vipere
dopo averli immobilizzati e uccisi con il potente veleno di cui
sono dotate, i serpenti invece li soffocano.
Le vipere sono vivipare, gli
altri serpenti sono ovipari.
Le vipere raramente raggiungono i
100 cm., lunghezza agevolmente superata dagli altri serpenti.
Le vipere, al contrario dei serpenti innocui, non sono ne
veloci ne scattanti e aggrediscono solo per difesa.
Le vipere, come tutti i rettili,
amano il calore diretto dei raggi solari e le superfici che lo
trattengono e lo rilasciano gradualmente, nonch� i luoghi dove
� facile nascondersi. Posti quindi particolarmente adatti alla
presenza delle vipere sono:
- le pietraie esposte a
solatio
- i muri a secco
- le fascine di legna
- i tronchi d’albero tagliati e accatastati
- le vecchie case abbandonate
- i pagliai
- le rive dei corsi d’acqua e degli stagni
-
tutti gli ambienti tranquilli e
ricchi di cibo
-
dal livello del mare fino
a oltre i 1.500 metri.
Le vipere sono animali pigri e si spostano solo per mangiare
(quindi raramente), preferibilmente nelle ore diurne ma anche
in quelle notturne se la temperatura lo consente, normalmente
stanno quasi ferme anche insieme ad altri soggetti; il loro
cibo � composto essenzialmente da piccoli anfibi (rane, rospi
ecc.), topi e piccoli uccelli.
La loro attivit� si svolge nei mesi di aprile-maggio fino a
ottobre-novembre, con una punta nei mesi pi� caldi. Rifuggono
la presenza dell’uomo anche se, negli ultimi anni, si sono
avute segnalazioni di vipere anche in luoghi frequentati
dall’uomo come orti coltivati o prati adiacenti abitazioni; si
presume che questo anomalo comportamento sia dovuto alla
massiccia presenza di cinghiali all’interno del bosco.
Non � vero che inseguono l’uomo anche per lunghi tratti, anzi
la vipera � un serpente lento.
Non � scontato che partoriscano sugli alberi per non essere
morse dai loro stessi viperotti (si trovano anche
occasionalmente su rami bassi e cespugli molto folti).
Non � vero che vengono lanciate dagli elicotteri per ripopolare
una zona (si tratta di una leggenda metropolitana).
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Vespe, api, calabroni, zanzare, pappatoci, pulci, zecche,
vipere, meduse e pesci
velenosi: precauzione e nuove
regole per il morso di
vipera.
Gli esseri umani non vogliono essere punti o morsi da insetti o
serpenti, e molti di questi ultimi non desiderano affatto essere
disturbati dagli uomini.
Vespe, api, calabroni (aculeati), utilizzano la loro arma a volte
letale per se stessi, come nel caso dell'ape che muore dopo avere
punto, per difendere la vita o la propria comunit�.
Diverso il caso degli insetti ematofagi, cio� quelli che si
nutrono di sangue (zanzare, pappataci o flebotomi, pulci, zecche
che in realt� non sono insetti, ma Araneidi).
D'estate non dobbiamo scordarci di porre la massima attenzione
anche nei confronti di animali come le vipere e le meduse.
Ecco qualche suggerimento.
Innanzitutto nessun allarmismo, � necessario
conoscere il mondo animale e i comportamenti di molti insetti e
specie animali per evitare di mettere in atto atteggiamenti a
rischio per la salute.
Insetti aculeati, ne esistono oltre 2.000 specie in
Italia. Per le punture bisogna porre attenzione agli Apoidei (ape
mellifera, ape comune), ad alcune specie di Vespidi e ad
occasionali contatti in ambiente campagnolo e montano con Sfecidi
(Sphecidae) o altre specie di aculeati.
Vespe sono sociali fanno il nido e possono
essere le pi� pericolose, per il numero di esemplari concentrati;
sostanzialmente sono 3 o 4 specie che impattano con le nostre
escursioni o la vita quotidiana.
Le vespe Polistes costruiscono i nidi nelle gronde o sotto
i coppi dei tetti (nidi particolari aperti, senza favo per
nascondere le cellette) e accolgono al massimo un centinaio di
soggetti (altri imenotteri o apidi fino a qualche migliaio). Non
sono molto aggressive e si alterano solo se ci avviciniamo troppo
ai nidi o le schiacciamo brutalmente (sempre meglio movimenti
lenti). Alcuni imenotteri sono dotati dalla natura dei cosiddetti
feromoni d'allarme: se attaccano e nei paraggi ve ne sono altri,
l'ormone secreto dal primo "soldato" invita gli altri esemplari
ad attaccare. Il pericolo maggiore � il contatto diretto con i
nidi e quindi � assolutamente sconsigliabile il fai da te
domestico per la loro eliminazione: obbligatorio chiamare
personale specializzato. Attenzione alla false credenze: di notte
vespe e api sono meno attive, ma possono ugualmente reagire e
quindi essere pericolose. La vespa al contrario dell'Ape, non
perde l'aculeo dopo avere colpito l'avversario. Lo stesso insetto
dunque pu� pungere diversi soggetti anche due o tre volte.
Le paravespule molto pi� aggressive delle Polistes
nidificano nelle abitazioni dove trovano ambienti che
assomigliano al loro naturale habitat (in natura nell'incavo
degli alberi o nel terreno) quindi cassettoni delle tapparelle,
mansarda, sottotetto. I nidi non si vedono fino a quando non sono
al loro massimo sviluppo che pu� raggiungere anche centinaia di
esemplari. Se disturbate sono quindi pericolose.
Apidi. Ricordiamo che le Api mellifere (produttrici dei
miele) sono insetti protetti e la rimozione degli alveari deve
quindi essere operata solo da apicoltori o Vigili dei Fuoco(
basta chiamare l'amico apicoltore e verr� lui a prendersi lo
sciame).
Altre specie come le Dollichovespule sono presenti i montagna.
Realizzano il loro nido masticando legno che, una volta seccato,
assume consistenza cartacea e che in genere si trova appeso ai
rami degli alberi. Escursionisti e fungaioli facciano attenzione
perch� i nidi sono difficili da localizzare e bisogna stare
attenti a non innescare la reazione degli insetti. A parte il
caso delle persone allergiche al veleno di vespidi che rischiano
quindi lo shock anafilattico anche con una singola puntura, gli
aculeati non portano malattie (pi� legato alle specie
ematofoghe).
Il calabrone (Vespa Crobro). Normalmente
viene confuso con la Xylocopa violacea, imenottero nero con le
ali appunto violacea, anch'esso un aculeato. Questa � una vespa
pericolosa perch� essendo di grandi dimensioni pu� con il suo
pungiglione inoculare una elevata quantit� di veleno. E' un
imenottero sociale che costruisce i suoi robusti nidi all'interno
delle canne fumarie, nelle vecchie case, sotto i coppi dei tetti,
nei cassettoni delle tapparelle. Massima attenzione in questi
casi e non attuare mai il fai da te per distruggerle. Se si
sentono in pericolo possono diventare molto aggressive.
E poi c'� la mosca mimetica che si traveste da ape per
sembrare pi� aggressiva ed essere lasciata in pace dai predatori.
Le zanzare sono mosche appartenenti all'ordine dei
Ditteri.
Da una decina d'anni � possibile anche in Italia essere punti di
giorno. Alle classiche zanzare notturne, si sono aggiunte
infatti, le zanzare tigre che cacciano durante le ore di luce. Il
consiglio � di trattare le zone in cui si soggiorna o si dorme
con vari metodi che devono essere scelti in base a chi vive
nell'ambiente domestico (bambini, anziani). Ottimi i repellenti
da vaporizzare sulla pelle (chiedere consiglio al farmacista o al
medico). Va bene mettere dei fili di rame nei sottovasi o nei
pozzetti.
E' importante non essere punti in maniera massiccia. Una buona
regola � l'eliminazione dell'acqua stagnante nelle aree abitate e
trattare anche i giardini.
Il pappatacio non si trova ovunque (anche nel Veneto) e
porta la Leishmaniosi.
Piccolissimo e quasi invisibile � molto deleterio sia per
l'aggressivit� delle punture, sia per la possibile trasmissione
della Leishmaniosi che pu� colpire sia l'uomo che il cane (con
gravissimi e spesso letali danni per la salute dei nostro amico a
quattro zampe). Per salvaguardare il cane, non essendo ancora
disponibile il vaccino, bisogna cercare di tenerlo lontano dai
micidiali insetti con i tradizionali collari repellenti a base di
piretroidi. Per le abitazioni sono in commercio prodotti
specifici. Il pappatacio (che � una mosca) colpisce da maggio ad
ottobre, dal tramonto all'alba, soprattutto durante le estati
molto torride.
Le zecche sono ematofogi (si nutrono di
sangue), sono attirate da tutti i mammiferi a sangue caldo.
Generalmente aspettano cu cespugli o piante i loro ospiti, i
lasciano cadere su di esso e si arrampicano dalle caviglie fino,
in genere, all'inguine. E' difficile accorgersi della presenza
perch� iniettano immediatamente uno sostanza anestetica prima di
inserirlo completamente nella zona dell'inguine o perianale. Su
cani e gatti, invece le zone pi� infestate sono quelle vicino
alle orecchie. E' facile trovare le zecche nei boschi, grazie
alla presenza di caprioli, cinghiali e cervi, ma � possibile
trovarle anche in un parco cittadino. Il periodo in cui � pi�
facile incontrarle � la primavera-estate e poi diminuiscono
progressivamente. Quando ci si reca in ambienti boschivi �
consigliabile indossare indumenti chiusi (calzoni, camicie) ed a
fine escursione ispezionare il proprio corpo. Esistono diversi
repellenti specifici che cosparsi sugli indumenti le tengono
lontane, quando per� ci si accorge di essere ospite di una zecca,
si consiglia di andare dal medico e se questo non fosse
possibile, cospargere sulla zecca del dentifricio, afferrare con
la pinzetta la zecca alla base del collo ed estrarre con
precauzione. La rapidit� � essenziale perch� altrimenti pu�
rilasciare un siero che pu� trasmettere la cefalite o il morbo di
Lyme, entrambe infezioni molto pericolose. La prima pu� causare
meningite e la seconda una degenerazione dei sistema nervoso. Per
questo dopo una puntura viene prescritto una cura antibiotica che
impedisce lo svilupparsi delle patologie. In particolare il morbo
di Lyme si manifesta, se non viene seguita la terapia
antibiotica, dopo un paio di mesi con un eritema errante. Gli
animali d'affezione dovrebbero essere trattati preventivamente
con bagni appositi.
Le pulci si trovano generalmente in ambienti secchi come
solai e cantine. Sono pi� "domestiche" delle zecche, sono
anch'esse ematofaghe, ma la loro puntura � istantanea come quelle
di zanzare e tafani. A differenza delle zecche non trasmettono
malattie gravi o dannose, al massimo irritazioni cutanee o
eritemi. I rimedi pi� efficaci sono i repellenti che le tengono
lontane ed � necessario trattare in maniera preventiva anche le
cucce e gli ambienti domestici.
Le meduse irritanti dei mari italiani
causano una reazione limitata alla pelle che pu� essere pi� o
meno estesa. Pu� essere trattata con pomate o creme a base di
antistaminici o cortisonici (basta chiedere al farmacista).
Le tracine sono pesci che pungono mediante
un aculeo della spina dorsale. Iniettano un veleno piuttosto
potente che � termolabile (parzialmente inattivato dal calore) in
caso di puntura occorre applicare sulla parte colpita qualcosa di
caldo, come la stessa sabbia riscaldata dal sole.
REAZIONI NEI SOGGETTI ALLERGICI: rivolgersi
immediatamente al medico.
REAZIONI E CURE NEI SOGGETTI NON ALLERGICI: chiedere consiglio al
medico o al farmacista nel caso di irritazioni importanti e fare
attenzione ai farmaci che si utilizzano. Le creme antistaminiche
che riducono il prurito, ad esempio, non devono essere applicate
prima di esporsi al sole. L'indicazione sanitaria in farmacia e
dal medico di base � sempre gratuita.
Vipera. E' bene
essere previdenti ma forse � opportuno sapere che il siero
antivipera non si usa pi�! Oggi viene impiegato con molta cautela
solo dal personale sanitario specializzato.
Evitare il morso di vipera �
abbastanza semplice:
1) preferire i sentieri e i
luoghi frequentati in quanto la vipera,timidissima, li evita
spaventata dalla presenza dell'uomo.
2) Indossare calzature adatte, possibilmente alte, calzoni di
stoffa robusta non aderenti e calzettoni spessi che attutiscono
il morso,ricordando che il veleno pu� essere iniettato soltanto
alla profondit� massima di 3-4 mm.
3) Farsi sentire dalle vipere che sono quasi sorde ma
percepiscono le vibrazioni del terreno. Battere quindi il suolo
con un bastone man mano che si procede o camminare pesantemente
battendo i piedi.
4) Fare attenzione ai posti freschi quando fa caldo e ai posti
tiepidi quando fa fresco (ad es. una vegetazione fitta con il
solleone; dei massi o una pietraia quando il cielo � coperto).
� sbagliato pensare alle vipere acciambellate su un sasso sotto
il sole rovente: data la loro struttura si ustionerebbero
immediatamente.
5) Attenzione a dove ci si siede o ci si distende: si corre il
rischio di venir morsi in punti delicati. Un morso al collo pu�
provocare la morte per soffocamento a causa del gonfiore che si
viene a formare.
6) Nel periodo estivo fare attenzione nei boschi anche ai rami
degli alberi;le vipere femmine, a volte, partoriscono appese ai
rami bassi ed anche in questo caso si rischia di subire un
morto al capo o al collo.
7) Se si posano indumenti per terra, scuoterli con energia
prima di indossarli.
8) Distruggere gli avanzi dei cibi consumati ed in particolare
le confezioni di latte usate: le vipere sono ghiotte di questo
alimento.
9) Non lasciare spalancate le porte delle automobili quando ci
si ferma a lungo in aperta campagna o in montagna.
10) Attenzione alle rocce, ai muri di pietra, ai casolari
abbandonati e ai cespugli molto ramificati (ginepri,
rododendri, rovi, ecc.). Non mettere mai le mani sotto la
roccia, in una fessura o nell'erba alta.
11) Evitare di schiacciare le vipere con i piedi o di colpire
con pietre e bastoni: se non si colpiscono mortalmente si
rivoltano cercando di mordere.
12) Se ci si trova di fronte ad una vipera � meglio restare
immobili o indietreggiare lentamente: la vipera cercher� di
fuggire.
L’abbigliamento dovrebbe essere tale da coprire la
maggior parte del corpo allo scopo di ridurre la possibilit� di
penetrazione dei denti della vipera; quindi maniche lunghe,
pantaloni lunghi e spessi, scarponi, calzettoni lunghi e, nei
luoghi pi� folti, anche berretto e fazzoletto al collo. Se poi
si intendono svolgere attivit� come la ricerca di funghi o
altri prodotti del sottobosco, il taglio di erba o di cespugli
ecc., sono indispensabili guanti da lavoro. Durante le
passeggiate o le escursioni � bene portare un bastone che ci
consenta di spostare erba cespugli ecc., per aumentare la
possibilit� di vedere per tempo la vipera.
Prima di piantare la tenda
occorre bonificare per quanto possibile il terreno; si
taglieranno quindi le erbe alte, i cespugli e si far� la
massima pulizia del campo. La tenda andr� poi piantata lontano
dai luoghi particolarmente a rischio e tenuta il pi� possibile
chiusa, per evitare che la vipera (o altri piccoli animali e
insetti) possa trovarvi rifugio.
Non devono essere lasciati all’aperto cibo, bevande ecc.; i
rifiuti, chiusi in sacchetti, dovranno essere appesi agli
alberi (per poi essere portati ai posti di raccolta) o ad altri
sostegni, o meglio depositati se possibile e al pi� presto in
cassonetti, bidoni chiusi ecc.
Gli zaini, le giacche a vento e l’abbigliamento in genere non
devono essere lasciati per terra ma all’interno della tenda o
appesi in luoghi alti per evitare che le vipere vi trovino
rifugio.
Controllare sempre, con cautela, l’interno di zaini e giacche
a vento prima di indossarli, soprattutto dopo una sosta
durante una escursione.
- 1 benda alta cm. 7 e lunga mt.
6 (per il bendaggio delle braccia), 1 benda alta cm. 10 e
lunga mt.10 (per il bendaggio delle gambe), 1 cerotto elastico
adesivo alto cm. 10 e lungo cm. 50 (tipo Tensoplast), 1 stecca
rigida
- un tampone disinfettante
- una pompetta aspira veleno
La vipera � molto lenta nei
movimenti, per cui � pericolosa solo se non la si vede. Inoltre
bisogna tener presente che morde solo perch� ha paura oppure
perch� provocata da un movimento da lei ritenuto pericoloso.
Esiste la possibilit� di essere morsi anche da rettili diversi
dalle vipere, per questo � importante saper riconoscere il
morso di quest’ultima da quello, innocuo (basta disinfettare
bene), di altri serpenti.
Il morso della vipera � facilmente riconoscibile perch�
� molto pi� doloroso e lascia sulla cute due buchi distanti fra
loro circa 1 centimetro - un centimetro e mezzo, seguiti da una
serie di forellini pi� piccoli.
Molte volte si pu� notare solo un foro nel caso che la vipera
abbia perduto in precedenza una zanna. Si possono altres�
notare le impronte degli altri denti mascellari che saranno
assenti in caso di morsicatura attraverso pantaloni o
calzettoni.
Dall'osservazione di reazioni seguite a morsi di serpenti
velenosi in diverse parti dei mondo, � stata codificata una
procedura molto sicura. Tale pratica � stata adottata dai
sanitari australiani, paese letteralmente infestato dai serpenti
velenosi.
In genere la vipera morde sulle gambe o sulle braccia, ecco come
comportarsi:
1- far sdraiare l'infortunato;
2- sfilare gli anelli, bracciali, orologi prima che compaia il
gonfiore;
3- lavare la ferita con acqua (no alcool, acqua ossigenata che
portano una pi� rapida diffusione del veleno dal momento che
producono vasodilatazione);
4-utilizzare una pompetta succhia veleno nel modo indicato sulla
confezione (costano poco e si trasportano facilmente nello zaino,
hanno le dimensioni di un pacchetto di sigarette);
5- applicare sul morso una benda elastica non
troppo stretta (va bene un fazzoletto piegato largo e mo di
cravatta);
6-trasportare l'infortunato al pronto soccorso,tenendolo fermo il
pi� possibile.
L'atteggiamento tranquillo del soccorritore � fondamentale per il
buon esito dell'intervento.
E'comunque importante sapere che il morso delle vipere europee
molto raramente � letale.
E. P.
Fonte: Piemonte Parchi.
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Dolomiti
La prima "guida turistica" delle Dolomiti fu il
libro: The Dolomite Mountains. Excursions through Tirol,
Carinthia, Carniola & Friuli in 1861, 1862 & 1863. Gli autori
furono due viaggiatori inglesi: il pittore Josiah Gilbert e il
botanico e geologo George Cheetham Churchili che visitarono il
settore orientale delle Alpi accompagnati dalle consorti. Il
libro di fatto battezza queste montagne, estendendo a una
intera regione geografica il nome di una roccia, la Dolomia,
presente anche altrove, ma che solo qui occupa la scena da
sola.
Gilbert e Churchill erano attirati oltre che
dalla "peculiarit� dell'ambiente", anche dal carattere
appartato rispetto alle normali correnti turistiche. Per otto
settimane scrissero, coprendo una distanza di pi� di duecento
miglia, senza incontrare un solo turista. Dopo quasi 150 anni
la situazione � cambiata. Le Dolomiti sono probabilmente le
montagne pi� visitate al mondo, attraversate da strade,
imbrigliate da impianti di risalita, umiliate da residence e
cannoni sparaneve, che ne hanno fatto una sorta di parco
giochi.
Fortunatamente nel Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi esistono ancora zone sfuggite all'assalto dei
turismo di massa, nelle quali � possibile rivivere le emozioni
pionieristiche di Gilbert e Churchili; montagne silenziose, in
cui vivono meno di 90 persone, danno vita a una delle aree
wilderness pi� estese dell'arco alpino orientale: 32.000 ettari
di montagne appartate, paesaggi non sfregiati dai segni
dell’uomo, una flora e una fauna di straordinaria ricchezza
accompagnata da peculiarit� geologiche uniche al mondo e
attraversate da decine di chilometri di sentieri, serviti da
autentici rifugi, che consentono al visitatore di immergersi in
questa magica atmosfera.
Scriveva Dino Buzzati: esistono da noi
valli che non ho mai visto da nessun'altra parte. Identiche ai
paesaggi di certe vecchie stampe del romanticismo che a vederle
si pensava: ma � tutto falso, posti come questo non esistono.
Invece esistono: con la stessa solitudine, gli stessi
inverosimili dirupi mezzo nascosti da alberi e cespugli
pencolanti sull'abisso, e le cascate di acqua.
Churchill, nelle sue peregrinazioni dolomitiche
non fu un pioniere. Le Dolomiti sono infatti oggetto di
attenzione da parte dei botanici fin dal 1400, a causa della
straordinaria ricchezza della loro flora. A Londra � custodito
il Codex bellunensis: un erbario figurato degli inizi dei 1400
(di recente ristampato dal Parco), che illustra e descrive
caratteristiche e propriet� medicinali di oltre 250 piante. Nel
Codex sono illustrate, per la prima volta nella storia, alcune
tra le pi� note piante di montagna, come la stella alpina,
l'arnica, il ginepro o la carlina.
La biodiversit� vegetale di questi monti
� dovuta alle vicende glaciali del Quaternario, ed al fatto che
questi monti occupano la parte pi� meridionale e "calda" delle
Dolomiti e sono stati in parte risparmiati dalle glaciazioni,
offrendo rifugio a molte specie vegetali che, nel resto delle
Alpi, sono invece state cancellate dall'avanzata dei ghiacciai.
Oggi possiamo ammirare nel Parco molte specie endemiche (vivono
in un'area geograficamente ridotta) come la Campanula morettiana, eletta a simbolo dell'area protetta, la primula
tirolese, il vistoso semprevivo delle Dolomiti e la minuscola
Rhizobotrya alpina. L’escursione dell’altitudine (tra i 400
metri delle valli e gli oltre 2500 delle vette), la diversit�
di substrati, l'orografia articolata, sono gli altri fattori
che spiegano la straordinaria biodiversit� vegetale nel Parco,
dove vivono oltre 1700 piante diverse.
Le Dolomiti sono montagne nate dal mare e dal
fuoco, nelle quali si trovano sia rocce sedimentarie che
rocce vulcaniche. Nell'area del Parco sono presenti quasi
esclusivamente rocce di tipo sedimentario, accumulatesi sui
fondali marini in un periodo compreso tra i 235 e i 65 milioni
di anni fa e successivamente, nell'Era Terziaria, sollevatesi
per effetto dello scontro tra la placca europea e quella
africana.
Ai margini del Parco, nell'alta Valle del Mis e
in Valle Imperina, affiorano invece rocce molto pi� antiche, di
origine metamorfica. Nel passato, in queste zone, si svilupp�
un’attivit� mineraria per l'estrazione di mercurio e rame. Le
miniere di Valle Imperina, nell'Agordino, vantano una storia
lunga oltre mezzo millennio che oggi, grazie all'intervento del
Parco, sono state restaurate e rese in parte visitabili e danno
vita a una delle pi� importanti testimonianze di archeologia
industriale di tutte le Alpi.
Nel Parco la ricchezza del sottosuolo non � solo
mineraria: l'altopiano dei Piani Eterni (assolutamente
immacolato) ospita infatti uno dei principali complessi carsici
italiani, esplorato fino ad una profondit� di quasi 1000 metri.
Consigli pratici per le visite:
abbigliamento adeguato, cartografia adeguata, informazioni
sugli orari dei rifugi, binocolo o macchina fotografica e
repellente per le zecche (d’estate). Informazioni:
info@dolomitipark.it
E. P.
Fonte: Piemonte Parchi.
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Galliformi alpini.
Sono animali che assieme
alla lepre variabile appartengono alla tipica fauna alpina e
che rischiano di scomparire dalle nostre montagne. Il fagiano
di monte, la pernice bianca, il gallo cedrone, il francolino di
monte e la coturnice, sono diventati rari e in alcune zone sono
gi� scomparsi. Essi vivono in ambienti difficili e che si
stanno degradando a causa delle attivit� antropiche come il
fuoristrada, lo sci, gli impianti di risalita, una caccia non
programmata correttamente e il cambiamento degli habitat.
Una
causa della loro diminuzione � anche l’isolamento delle
nostre montagne dal resto dell’Europa e quindi l’impossibilit�
del rimescolamento genetico che � essenziale per la
sopravvivenza d’ogni specie. Questi animali vivono tra i 1300
ed i 3200 metri d’altitudine, hanno una bassa natalit� ed i
pulcini hanno poca sopravvivenza, al punto da garantire solo il
ricambio generazionale. I galliformi alpini prediligono spazi
aperti, con arbusti nani, prati e alberi radi che offrono cibo
e riparo quando manca la neve, sono un utile indicatore
ecologico a causa della loro sensibilit� e quindi possono
essere utilizzati per monitorare gli effetti dello sfruttamento
delle montagne. L’abbandono delle montagne e lo sviluppo delle
infrastrutture turistiche per la pratica d’attivit� ludico
sportive come lo sci (discesa, fondo, motoslitte e fuori
pista), l’alpinismo, il mountain-bike, il deltaplano ed il
parapendio, crea forti disturbi a questi animali che nel
periodo invernale dovrebbero risparmiare il massimo delle
energie per sopravvivere.
Le
misure di tutela da attuare in tempi brevi (� utile
l’esperienza della Francia), partono dalla collaborazione degli
enti parco con le associazioni ambientaliste ed i cacciatori
che devono coordinare tutte le iniziative. Occorre innanzi
tutto capire i motivi del decremento a livello locale, poi �
necessario coinvolgere i gruppi interessati alla gestione delle
arre montane, mettere in atto misure di tutela e monitorare i
provvedimenti attuati. Non � necessario vietare le attivit�
ludiche in montagna, ma bisogna convincere i praticanti di
questi sport che vi sono luoghi e modi che arrecano meno
disturbo a questi animali. Gli impianti di risalita ed i cavi
sospesi vanno studiati ed attrezzati per evitare collisioni
dagli uccelli in volo.
Il ruolo dei cacciatori
“specializzati” � quello di rendere possibile censimenti
regolari nel tempo di questi animali, e di permettere una
dettagliata raccolta di dati sugli animali abbattuti. I
parchi hanno il compito di monitorare queste specie cos�
delicate attraverso una rete d’osservazioni e raccolta dei
dati. L’integrazione di queste due fonti d’informazioni,
consente un’accurata ricognizione delle specie nelle diverse
zone, e permette di valutare in positivo o in negativo la
conservazione a lungo termine di questi abitanti delle nostre
montagne.
E. P.
Fonte: Piemonte Parchi.
Foto in alto: Forcelli M e F. In basso:
Coturnice.
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I rifiuti possono produrre energia.
I rifiuti possono
essere bruciati nelle centrali elettriche di tipo avanzato ed
anche nei cementifici. Questa possibilit� di smaltire
riciclando i rifiuti � realizzabile ed in parte gi� attuata con
l'effetto che diminuisce la necessit� di termovalorizzatori,
si incrementano le entrate dei comuni, diminuisce la tassa che
pagano i cittadini e l'ambiente ne guadagna.
In Italia l'energia
prodotta dal carbone copre il 16% del fabbisogno (13 milioni di
ton annue) e le centrali pi� evolute, cio� quelle che
potrebbero bruciare il Cdr prodotto dai rifiuti, sarebbero in
grado di bruciare un milione di tonnellate di Cdr (2,5 milioni
di ton di rifiuti urbani), cio� l'8% dei rifiuti prodotti in
Italia. Se al calcolo si aggiunge la quota bruciata dai
cementifici si arriva ad un totale del 10% dei rifiuti prodotti
in Italia.
Per realizzare quanto sopra
serve un Cdr perfetto e questo esclude le ecoballe della
Campania, non buone ne per i cementifici, ne per le centrali
elettriche e nemmeno per i cosiddetti "termovalorizzatori". Per
produrre un Cdr perfetto occorre una raccolta differenziata
capillare.
L'Enel ha firmato un
accordo (primo e unico in Italia) con la regione Veneto e con
la Provincia di Venezia gi� nel 98, per bruciare, in via
sperimentale, il Cdr nella centrale di Fusina. Dal 2000 sono
bruciate 32 mila ton annue di Cdr prodotto da rifiuti raccolti
con un'intensa raccolta differenziata. l'Enel paga il Cdr
prodotto in un impianto specializzato e la Provincia di Venezia
ha potuto abbassare la tassa della raccolta di rifiuti. Il
sistema � talmente efficace che la provincia ha chiesto di
aumentare l'assorbimento a 70 mila ton di Cdr pari a 180 mila
ton di rifiuti (la produzione annua di Venezia).
L'Enel ha realizzato piani
per le varie centrali a combustibile solido, tra cui Brindisi
che � la pi� grande centrale a carbone d'Italia con un consumo
di 4 milioni di ton annue, ma i progetti sono rimasti lettera
morta per disinteresse della classe politica.
Oltre al Veneto l'unica
voce che si leva dal coro � quella della Regione Lazio dove
Piero Marrazzo ha prospettato di chiedere all'Enel la
combustione di Cdr nella nuova centrale in via di ultimazione a
Civitavecchia (ma la richiesta ufficiale non � ancora arrivata
all'Enel).
P. E. Fonte dei dati: l'Espresso.
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Dove sono
finiti gli alberi dei bambini?
Napoli
� proprio una citt� piena di problemi, � in fondo alla
graduatoria della vivibilit� urbana, ma vanta una media di
9.777 nascite all’anno che arrivano a 40 mila se si prende in
considerazione il suo interland. Vista cos� sembra una buona
notizia, e lo � senz’altro, ogni nascita � una buona notizia.
C’� un piccolissimo particolare: la legge 113 del 1992 obbliga
ogni comune a piantare un albero per ogni bambino (o bambina)
venuto alla luce e invece, indovinate un po’, … mistero verde.
La Regione Campania ha
stanziato 457.764 € per piantare una albero per ogni nato e
perch� ci sia una rispondenza tra l’albero piantato ed il
nascituro ma dove vanno a finire questi soldi visto che non
risultano ottemperati gli obblighi di legge? E pensare che
Marco Mansueto, consigliere di Iniziativa Popolare ha anche
indicato un area demaniale da utilizzare per la piantagione
degli alberi, a poca distanza dalla famosa discarica di
Pianura: qui si potrebbe far sorgere una foresta invece di
interrare veleni.
E negli altri comuni d'Italia?
fateci sapere
come procede la piantumazione degli alberi dei bambini.
Martina Pastorio: 2^Z. Fonte : L'espresso.
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Diossine: inquinanti organici
persistenti.
La maggior parte delle diossine sono
inquinanti organici persistenti.
In genere, quando si parla di "diossina" in senso non chimicamente
rigoroso, ma tossicologico, si intende l'intera classe di
diossine. Le diossine ed altri inquinanti organici persistenti
sono sottoposti alla convenzione di Stoccolma. Questo accordo,
che entrer� pienamente in vigore, essendo stato ratificato da
un numero sufficiente di paesi, prevede che gli stati prendano
misure per eliminare ove possibile, o quantomeno minimizzare,
tutte le fonti di diossine.
Le diossine, nel loro insieme sono molecole molto varie a cui
appartengono composti cancerogeni. Ad asse vengono ascritti
composti estremamente tossici per l'uomo e gli animali.
Sono poco volatili per via del loro elevato peso molecolare, poco o nulla
solubili in acqua, ma sono pi� solubili nei grassi, dove
tendono ad accumularsi. Proprio per la loro tendenza ad
accumularsi nei tessuti viventi, anche un'esposizione
prolungata a livelli minimi pu� recare danni: sugli animali
hanno effetti cancerogeni ed interferiscono con il normale
sviluppo fisico; � stato inoltre dimostrato che l'esposizione
alla diossina pu� provocare l'endometriosi.
Mediamente il 90% dell'esposizione umana alla diossina avviene attraverso
gli alimenti (grasso di animali a loro volta esposti a
diossina) e non direttamente per via aerea: il fenomeno del
bioaccumulo fa s� che la diossina risalga la catena alimentare
umana concentrandosi sempre pi�, a partire dai vegetali,
passando agli animali erbivori, ai carnivori ed infine
all'uomo.
Le diossine vengono prodotte quando materiale organico � bruciato in
presenza di cloro, sia esso cloruro inorganico, come il comune
sale da cucina, sia presente in composti organici clorurati (ad
esempio, il PVC). La termodinamica dei processi di sintesi
delle diossine � fortemente favorita da reazioni a pi� bassa
temperatura, e questo � il motivo per cui gli impianti in cui la
combustione pu� portare alla formazione delle stesse, sono
costretti a funzionare a temperature elevate. Per evitarne la
formazione in fase di raffreddamento, � necessario introdurre
processi di spegnimento o raffreddamento rapido.
Le diossine si generano anche in assenza di combustione, ad esempio nella
sbiancatura della carta e dei tessuti fatta con cloro e nella
produzione di clorofenoli, specie quando la temperatura non �
ben controllata.
Per quanto riguarda i processi di combustione, possiamo ritrovarle in:
industrie chimiche, siderurgiche, metallurgiche, industrie del
vetro e della ceramica, nel fumo di sigaretta, nelle
combustioni di legno e carbone (potature e barbecue, camini e
stufe), nella combustione (accidentale o meno) di rifiuti
solidi urbani avviati in discarica o domestici, nella
combustione di rifiuti speciali obbligatoriamente inceneribili
(esempio rifiuti a rischio biologico, ospedalieri) in impianti
inadatti, nei fumi delle cremazioni, dalle centrali
termoelettriche e dagli inceneritori.
Questi ultimi sono stati a lungo fra i maggiori produttori di diossina, ma
negli ultimi anni l'evoluzione tecnologica ha permesso un
notevole abbattimento delle emissioni gassose da queste fonti.
Tuttavia, per quel che riguarda gli aspetti sanitari finali, la stragrande
maggioranza degli studi epidemiologici, anche recentissimi,
basati su campioni molto vasti di popolazione, rilevano una
correlazione tra le patologie diossina-correlate e la presenza
di inceneritori nelle aree soggette ad indagine.
I vecchi impianti di incenerimento e la gestione dei rifiuti in generale
producono quantit� enormi di diossina, mentre gli impianti
moderni, secondo le normative vigenti per i nuovi impianti,
sono scesi a una frazione della produzione passata. �
pertanto evidente che la rilevanza dell'incenerimento sul
complesso delle fonti di diossina in un Paese dipende
fortemente dall'arretratezza degli impianti esistenti, nonch�
ovviamente dalla quantit� di rifiuti bruciati.
Si conferma che il settore siderurgico di seconda fusione (cio� di
materiali di recupero, evidentemente contaminati), considerando
anche gli alti valori assoluti della produzione, � insieme
all'incenerimento uno dei massimi responsabili della produzione
di diossine, e inoltre che la combustione non controllata di
legna, rifiuti e biomasse varie – contrariamente a quanto si
pu� pensare – � molto pericolosa.
Le emissioni pi� rilevanti di diossina, tuttavia, non sono
quelle in atmosfera ma quelle nel terreno. Su questo
versante, i massimi responsabili sono i pesticidi, in
fase di produzione ma anche di uso; seguono a una certa
distanza i fuochi accidentali, nonch� ancora una volta
lo smaltimento dei rifiuti. Da tenere in conto � anche
l'immissione di diossine nelle acque. I dati
disponibili sono pochissimi, e relativi solo alla produzione di
carta, all'incenerimento e allo smaltimento degli olii usati,
le cui emissioni anche nella peggiore delle ipotesi sono per�
molto inferiori a quelle in aria e terra.
Germania - BASF 1953. Un primo caso largamente
reso pubblico avvenne il 17 Novembre 1953 negli impianti
tedeschi della BASF, a Ludwigshafen, su una linea di produzione
di Triclorofenolo. Su quell'episodio si fecero successivi e
pionieristici studi epidemiologici.
Vietnam - 1961-1975. Sono stati condotti studi sia
sui veterani della guerra del Vietnam che sulla popolazione
vietnamita per verificare quanto l'esposizione all'Agente
Arancio (un defoliante che produce diossine per combustione e
pu� contenerle se impuro) � stata responsabile di decine di
migliaia di nascite di bambini malformati e di disturbi alla
salute che hanno riguardato circa un milione di persone.
Italia - Seveso 1976. Grandi quantit� di diossine
sono state rilasciate nell'aria di Seveso nel 1976 in seguito
ad un incidente agli impianti della ICMESA di Meda. Bench� non
si siano avuti morti per intossicazione acuta, la zona attorno
agli impianti � stata evacuata ed � stato necessario rimuovere
un consistente strato di suolo dell'area contaminata. Fatto da
notare, nell'Agosto 1982, gran parte dei residui contaminati
prelevati dal sito e diretti alla decontaminazione alla
Ciba-Geigy di Basilea scomparvero al confine di Ventimiglia con
la Francia.
Stati Uniti, Love Canal – 1978. Incidenti simili
si sono verificati negli Stati Uniti nella zona delle cascate
del Niagara nel 1978. Nel 1890 veniva creato nei pressi delle
cascate un canale artificiale per usi idroelettrici, mai
entrato in attivit�, da William T. Love, e chiamato appunto
Love Canal. Dal 1942, il sito venne utilizzato dalla Hooker
Chemicals and Plastics (adesso Occidental Chemical Corporation
(OCC)) per lo stoccaggio di 21000 tonnellate di prodotti e
rifiuti chimici, compresi clorurati e diossine. L'attivit�
venne interrotta nel 1952, e dal 1953 il sito venne interrato.
La Hooker nel 1953 vendette il canale per $1 e scrisse
nell'atto un diniego della responsabilit� di danni futuri
dovuti alla presenza dei prodotti chimici sepolti. La zona si
svilupp�, venne estesamente abitata, sorsero scuole e servizi.
Problemi di strani odori, anche da stillamenti dai muri degli
scantinati delle case, sorsero fin dagli anni '60, aumentarono
nel decennio successivo, evidenziandosi anche nell'acqua
potabile, contaminata dalla falda freatica inquinata. In
seguito avvennero percolazioni fino a portare gli inquinanti
nel fiume Niagara, tre miglia sopra i punti di prelievo degli
impianti di trattamento acque. Le diossine passarono dalla
falda a pozzi e torrenti adiacenti.
Stati Uniti, Times Beach, Missouri 1971 – 1983.
Per contenere problemi di polverosit� dei 38 Km di strade che
la collegano i fondi agricoli, la citt� di Times Beach
confer� al trasportatore di reflui Russell Bliss l'incarico di
ungerle nel 1971. Dal 1972 al 1976, vennero spruzzate con olii
di rifiuto. Russell Bliss si aggiudic� contemporaneamente un
contratto con Northeastern Pharmaceutical and Chemical Company
(NEPACCO), operante nella produzione di esaclorofene a Verona,
Missouri per il ritiro di olii minerali di scarto. Parte
dell'industria aveva contribuito alla produzione di Agent
Orange durante la guerra del Vietnam. I problemi iniziarono con
una moria di 62 cavalli dopo un trattamento con olio nei pressi
di una scuderia. In seguito il problema si estese enormemente,
con vaste contaminazioni territoriali, rilevando tassi nel
terreno 100 volte superiori ai limiti. Nel 1982 un inondazione
allag� l'area disperdendo i clorurati su di un vasto
territorio. Nel 1985 si � arrivati ad una evacuazione pressoch�
totale della citt�, con la rimozione di oltre 250.000
tonnellate di terreno.
Italia - Taranto, Il caso Ilva. In Italia desta
preoccupazione l'emissione di diossina dell'impianto di
agglomerazione dell'Ilva di Taranto, oggetto di numerose e
protratte campagne di informazione dell'associazionismo locale
basate sui dati del registro INES delle emissioni e delle loro
sorgenti. Nel giugno 2007 sono state realizzate dall'Arpa
Puglia coadiuvata dal Consorzio INCA e dal Cnr (per la
controparte ILVA) delle misurazioni sul camino dell'impianto di
agglomerazione che per l'occasione ha beneficiato di
elettrofiltri puliti e rinnovati.
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Aree
naturali protette dove la caccia � vietata.
Parchi nazionali (L. 394/91): sono
aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono uno o
pi� ecosistemi intatti o anche parzialmente alterati da
interventi antropici, una o pi� formazioni fisiche, geologiche
o biologiche, di rilievo internazionale o nazionale per valori
naturalistici, scientifici, estetici, culturali, educativi e
ricreativi. Sono istituiti e delimitati con decreto del
Presidente della Repubblica, su proposta del ministro
dell'Ambiente, sentita la Regione. Attualmente sono 24 e
coprono oltre un milione e mezzo di ettari, pari al 5 % circa
del territorio nazionale.
Parchi naturali regionali e interregionali (L.
394/91, art. 2): sono aree terrestri, fluviali, lacuali o
tratti di mare prospicienti la costa, di valore naturalistico e
ambientale, che costituiscono in una o pi� regioni limitrofe,
un sistema omogeneo, individuato dagli assetti naturalistici
dei luoghi, dai valori paesaggistici e artistici e dalle
tradizioni culturali delle popolazioni locali. La loro
classificazione e istituzione sono effettuate dalle Regioni. In
questo tipo di parchi naturali l'attivit� venatoria � vietata,
salvo eventuali prelievi faunistici e abbattimenti selettivi
necessari per ricomporre squilibri ecologici.
Parchi provinciali (L. 394/91): istituiti per
conseguire finalit� simili a quelle dei parchi regionali, sono,
gesti dalle amministrazioni provinciali direttamente o tramite
aziende speciali da esse costituite.
Riserve naturali (339/94, art. 2): sono aree
terrestri, fluviali, lacuali o mari che contengono una o pi�
specie naturalisticamente rilevanti o presentano ecosistemi
importanti per la diversit� biologica o per la conservazione
delle risorse genetiche. Possono essere statali o regionali e
la loro gestione � affidata al Corpo forestale dello Stato.
Possono anche essere regionali (l'attivit� venatoria � vietata,
salvo eventuali prelievi faunistici e abbattimenti selettivi
necessari per ricomporre squilibri ecologici).
Aree contigue (art. 32 della 394/91): le regioni
stabiliscono piani e programmi ed eventuali misure di
disciplina della caccia, della pesca, delle attivit� estrattive
e per la tutela dell'ambiente, relativi alle aree contigue alle
aree protette. I confini delle aree contigue sono determinati
dalle regioni, d'intesa con l'organismo di gestione dell'area
protetta.
Aree marine protette (L. 979/82 e L.. 394/9 1,
art. 2 e 18): istituite dal ministro dell'Ambiente, sono
regolamentate da leggi regionali e sono suddivise in diverse
tipologie di zone. In esse sono vietate le attivit� che possono
compromettere la tutela delle caratteristiche dell'ambiente e
le opere che possono compromettere la salvaguardia del
paesaggio e degli ambienti naturali tutelati e ai rispettivi
habitat.
Altre aree naturali protette: non rientrano nelle
precedenti classi e sono regolamentate da leggi regionali. Si
dividono in aree di gestione pubblica, istituite cio� con leggi
regionali o provvedimenti equivalenti, e aree a gestione
privata (le oasi delle associazioni ambientaliste, i parchi
suburbani, i monumenti naturali o le Aree naturali protette di
interesse locale).
Centri pubblici e privati di riproduzione della fauna
selvatica (L. 157/92, art. 10): ai fini di ricostituzione
delle popolazioni autoctone.
Foreste demaniali (art. 2 1 L,. 157/92): divieto
dell'esercizio venatorio nelle foreste demaniali ad eccezione
di quelle che non presentino condizioni favorevoli alla
riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica.
Oasi di protezione (L. 157/92, art. 10): aree
destinate al rifugio, alla riproduzione e alla sosta della
fauna selvatica che sono contemplate nel piano faunistico
venatorio e in cui � vietata la caccia.
Zone umide di interesse internazionale: sono aree
acquitrinose, paludi, torbiere oppure zone naturali o
artificiali d'acqua, permanenti o transitorie che possono
essere considerate di importanza internazionale soprattutto
come habitat degli uccelli acquatici.
Zone ripopolamento e cattura (L. 157/92, art. 10):
sono territori interdetti alla caccia (ex art. 21), destinati
alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale per
la successiva immissione nel restante territorio al fine di
favorire il ripopolamento. Possono essere date in gestione ai
comitati direttivi degli Atc, ad associazioni venatorie, di
protezione ambientale o agricole.
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Siti di importanza comunitaria (Sic) - Zone
speciali di conservazione (Zsc): designate ai sensi della
direttiva 92/43/Cee, sono aree naturali che contengono zone
terrestri o acquatiche, naturali o seminaturali e che
contribuiscono in modo significativo a conservare, o
ripristinare, un tipo di habitat naturale o una specie della
flora e della fauna selvatiche. Tali aree vengono indicate come
Siti di importanza comunitaria. La direttiva 92/43 stabilisce
inoltre una rete ecologica europea denominata “Natura 2000”
costituita appunto dalle Zsc designate dagli Stati membri e
dalle Zps istituite dalla direttiva 79/409/Cee concernente la
conservazione degli uccelli selvatici.
Fonte: Federcaccia.
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